La crisi delle spie iraniane

Giulia Pompili

Così l’intelligence di Teheran, ossessionata dalla repressione interna, ha facilitato Israele

Le operazioni israeliane dentro al territorio iraniano sono andate avanti per mesi, e la preparazione dell’attacco a sorpresa di venerdì scorso è stato meticoloso, avvenuto in gran parte sotto al naso della sicurezza interna iraniana. Un fallimento gigantesco per l’intelligence di Teheran, che viene da mesi di destabilizzazioni e continua a essere indebolita. Domenica scorsa, dopo un attacco aereo contro un edificio dell’intelligence del Corpo delle guardie della rivoluzione islamica a Teheran, è stata confermata l’uccisione del capo dello spionaggio dei pasdaran, Mohammad Kazemi, insieme con il suo vice Hassan Mohaghegh e al comandante Mohsen Bagheri. L’articolata struttura di spionaggio iraniana ha poi altre due strutture principali.

 

C’è il potente ministero delle Informazioni e della Sicurezza nazionale, guidato dall’influente religioso Esmail Khatib, legato personalmente alla Guida suprema Ali Khamenei (fu suo allievo quando studiava giurisprudenza islamica) e vicino ai pasdaran. Il terzo corpo d’intelligence operativo è quello delle Forze Quds, che ha l’autorità sulle operazioni fuori dal paese, e il cui comandante, Esmail Qaani, che nel 2020 aveva preso il posto del generale Qassem Suleimani (ucciso dall’Amministrazione Trump in un attacco aereo con drone all’aeroporto di Baghdad), è stato ucciso il 13 giugno scorso. A gestire i servizi di informazione per Teheran è rimasto dunque soltanto Esmail Khatib – per ora non sono stati nominati i sostituti al comando dei pasdaran – che è noto nell’ambiente soprattutto per enfatizzare i successi del ministero dell’Intelligence e coprirne i fallimenti.  Soltanto cinque giorni prima dell’attacco a sorpresa di Israele contro l’Iran, Khatib aveva annunciato ai media di stato che alcune spie iraniane erano riuscite a ottenere “un importante tesoro di intelligence strategica, operativa e scientifica” su Israele, e che avevano trasferito con successo nel territorio iraniano “migliaia di documenti”.

 

Nel primo leak pubblicato dal media iraniano IranView24 si vedono alcuni scambi di lettere fra Rafael Grossi, direttore generale dell’Aiea, e l’ambasciatore israeliano all’Onu che non dicono praticamente nulla.  Lo stato ebraico non aveva né confermato né smentito il furto d’informazioni, com’è frequente nella strategia israeliana, ma la rivelazione priva di dettagli significativi sembrava una maldestra risposta alla prevedibile condanna dell’Aiea, che ci sarebbe stata qualche giorno dopo, sulle attività atomiche iraniane, e forse un riferimento alle dichiarazioni del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu del 2018, sull’operazione israeliana che aveva portato all’ottenimento di una “mezza tonnellata” di documenti sulle attività nucleari segrete dell’Iran. Steven R. Ward, ex analista della Cia esperto di intelligence iraniana, già lo scorso anno su Cipher Brief scriveva che “la capacità di Israele di penetrare la sicurezza iraniana ha suscitato diverse critiche all’interno dell’Iran riguardo ai fallimenti, ma ha portato a pochi cambiamenti significativi”. Nonostante l’assassinio del leader di Hamas Ismail Haniyeh a Teheran, il 31 luglio del 2024, nel presentare la sua squadra di governo un mese dopo il presidente iraniano Masoud Pezeshkian aveva annunciato la riconferma a ministro di Esmail Khatib, che era stato nominato dal predecessore Ebrahim Raisi. Questioni di equilibri di potere e politiche corrotte: “Poche settimane prima dell’attacco, Khatib si era vantato dei successi del suo ministero nel contrastare le minacce terroristiche”, scrive l’analista, e poi aveva celebrato lo smantellamento di presunte reti di spionaggio da parte del Mossad e dello Stato islamico, e di altri gruppi dissidenti. Del resto la sicurezza di  Haniyeh era sotto la diretta responsabilità dei Guardiani della rivoluzione.

 

“Pur essendo molto efficaci sotto molti aspetti”, scrive Ward, “i servizi segreti iraniani si concentrano sulla sicurezza interna e sul monitoraggio dei dissidenti, distogliendo risorse dalle attività di intelligence e controspionaggio esterne”. E’ l’involuzione di un regime che ha bisogno di sopravvivere, e per la sua sopravvivenza è costretto a usare il controspionaggio per reprimere il dissenso: “Queste organizzazioni”, scrive l’analista, “si trovano ad affrontare responsabilità sovrapposte, competizione interna e scarso coordinamento”, e hanno alimentato la cultura della paranoia. Diversi specialisti d’intelligence considerano l’assassinio di Haniyeh a Teheran il punto di svolta nella reputazione dell’intelligence dei pasdaran, da sempre considerata più efficace di quella del ministero, che nel frattempo però cercava per sé più potere. La crisi della sicurezza interna iraniana ha facilitato il lavoro a Israele.

Di più su questi argomenti:
  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.