L'analisi

Perché la Russia in medio oriente ha influenza soltanto per Trump

Micol Flammini

L’eredità russa in medio oriente è una storia di fallimenti e tradimenti: dalla Siria all’Iran. Israele sa con chi sta Mosca

Se per Donald Trump la Russia è una superpotenza e il capo del Cremlino Vladimir Putin è un leader tra i più rispettati e influenti al mondo, gli ultimi mesi in medio oriente raccontano la storia di una Russia rimpicciolita, incapace di dare certezze ai suoi alleati, menefreghista quando si tratta di proteggerli, incapace di intervenire. Il presidente americano e altri uomini dentro alla sua Amministrazione sono arrivati a proporre Putin come mediatore tra Israele e la  Repubblica islamica dell’Iran. Il capo del Cremlino ha giocato con questo desiderio americano tanto da usarlo due settimane fa durante una telefonata per portare l’attenzione di Trump lontana dal fronte ucraino. Mosca ha collezionato sconfitte in medio oriente e sta mostrando tutta la sua inaffidabilità nei confronti di chi la sceglie come alleato. 


“Il medio oriente sta cambiando faccia – dice Ksenia Svetlova, ex deputata israeliana e analista di Chatham House – e in questa faccia non c’è posto per i connotati russi”. La prima sconfitta di Mosca in medio oriente è stata la Siria, quando lo scorso anno, in cinque giorni, Abu Muhammad al Julani, oggi Ahmed al Sharaa, con i suoi uomini del gruppo militare Hayat Tahrir al Sham, ha iniziato un’offensiva dalla provincia di Idlib per cacciare il regime assadista. Il regime è crollato, si è liquefatto e i suoi alleati, Iran e Russia, non hanno potuto salvarlo e neppure ci hanno provato. Mosca si è limitata a dare rifugio al dittatore Bashar el Assad e alla sua famiglia, poi si è soltanto preoccupata di negoziare con il nuovo potere il mantenimento delle sue basi in Siria. “Il Cremlino neppure ha tentato di tenere in piedi Assad, non ha voluto distrarsi dalla sua guerra in Ucraina. In medio oriente si è notato”, dice Svetlova. In Siria l’Iran non è intervenuto perché Israele aveva depennato leader dopo leader, arsenale dopo arsenale, tutto il potere militare di Hezbollah, il gruppo sciita libanese a cui Teheran aveva affidato la protezione del regime assadista. Hezbollah ancora esiste, ma la guerra contro Israele ha nullificato le sue capacità di azione, aprendo ad  al Sharaa una possibilità ulteriore per la sua offensiva. 


I rapporti fra Russia e Iran sono molto  stretti, sanciti da un trattato firmato dai presidenti dei due paesi per la mutua assistenza militare e il sostegno economico di Mosca nei confronti di Teheran. “La Repubblica islamica è un alleato critico per Mosca sul campo di battaglia in Ucraina, difficile trovarne uno tanto manifesto. Ha mandato droni, i russi ormai li producono in casa, ma hanno imparato come farlo dagli iraniani”, dice Svetlova. Non soltanto la Russia sta mostrando che in medio oriente non ha capacità di azione, che non può fare altro che guardare, ma sta lanciando un segnale ai suoi alleati. Oltre all’Iran, anche la Corea del nord ha un accordo con Mosca, una partnership strategica, con meno punti stringenti rispetto a quella firmata con Teheran, ma comunque indice di un’alleanza. Pyongyang ha mandato i suoi uomini a combattere nella regione russa di Kursk per respingere l’avanzata degli ucraini. I soldati nordcoreani nelle prime settimane sono stati usati  come carne da macello e il loro invio rispondeva a un calcolo specifico da parte del dittatore Kim Jong Un: voleva che imparassero come si combatte una guerra. Le alleanze tra Mosca, Iran e Corea del nord sono una questione di calcolo, ma gli amici del Cremlino dal medio al lontano oriente stanno imparando una lezione: “La Russia non è in grado di dare assistenza e non è interessata. Guarda e non interviene. Pensa piuttosto a come trarre vantaggio, come poter influenzare”. Mosca ha dato a Teheran gli S-300, un sistema di contraerea a lungo raggio che però Israele è riuscito a neutralizzare nell’attacco dell’ottobre scorso. Nonostante le richieste di Teheran, il Cremlino non ha mandato i caccia Sukhoi Su-35. “Tutti i piani di cooperazione  tra Mosca  e Iran andranno a rotoli. La collaborazione tra i due paesi è sempre stata caratterizzata da una profonda diffidenza, l’avvicinamento c’è stato con la guerra in Ucraina, la mancanza di fiducia di fondo però rimane. Sono segnali che in medio oriente restano e a tutti è arrivato un messaggio: la Russia non ha intenzione di assistere l’Iran, non darà armi. La lezione vale per ogni alleato”. 


A Trump l’intervento di Putin piace, Israele lo trova insensato. “Israele vuole mantenere relazioni decenti con la Russia, ma i rapporti sono cambiati molto dal 7 ottobre. Nonostante tutto, Netanyahu parla con Putin, ma non lo fa pensando di rivolgersi a un alleato. Non c’è fiducia, è realpolitik, tutti hanno chiaro con chi sta la Russia”, dice Svetlova. Il medio oriente sta funzionando come uno specchio del modo di Mosca di comportarsi con gli alleati. Qualsiasi tentativo di Trump di usare il conflitto con l’Iran per mostrare un valore di Putin come mediatore viene smentito dai fatti. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)