Ansa

in America

La rabbia dei latinos delusi da Trump

Giulio Silvano

Così i democratici possono evitare la trappola Maga a Los Angeles, dove “il 99 per cento delle proteste sono pacifiche”, dice l’editorialista del LA Times Gustavo Arellano. Il rapporto della comunità ispanica con Newsom e il Gop

“Le comunità ispaniche sono terrorizzate e infuriate. Ho parlato con alcuni latinos che dicono che è la prima volta che partecipano a delle proteste, e sono gli stessi che appoggiano la politica promessa da Donald Trump di perseguire gli immigrati criminali. Ma non è quello che sta succedendo ora”, racconta al Foglio Gustavo Arellano, firma del Los Angeles Times, noto per la sua rubrica “¡Ask a Mexican!” sull’OC Weekly. I suoi genitori erano immigrati messicani, uno dei quali arrivato in America nascosto nel bagagliaio di una Chevy. Iniziate le proteste che stanno infiammando la sua città e l’America intera, sul Los Angeles Times Arellano ha scritto un editoriale per chiedere ai democratici e ai manifestanti di “ribellarsi in modo più intelligente”. Cioè senza lanciare sassi e senza cadere nella trappola tesa dal presidente Donald Trump, che non vede l’ora di poter dire, come poi ha fatto, che i manifestanti sono tutti criminali che vanno arrestati. Se si risponde in modo sbagliato si arriva a giustificare l’invio di 700 marines e 4 mila membri della Guardia nazionale per “liberare Los Angeles”. Sono scene che non si vedevano dai tempi di Johnson. “Non servono delle vere fiamme”, dice Arellano, “perché quelle che bruciano più a lungo e più intensamente sono quelle morali e filosofiche”. Ma cosa possono fare la città e lo stato, guidati da democratici, per evitare la trappola Maga? “Riunire le persone, canalizzare il loro sdegno e organizzare un piano di difesa e attacco che sia attuabile”.  


Continuano dopo giorni a riunirsi gruppi con le bandiere messicane per dire agli agenti dell’Ice, l’agenzia federale anti immigrazione, che questi controlli a tappeto nei supermercati e nelle scuole non vanno bene. Che non serve l’interferenza di Washington. “Più che la tensione quella che si respira qui è la rabbia”, ci dice Arellano, “Molta rabbia. La città opera perfettamente bene da sola e non ha bisogno di interventi federali. La città sa che Trump sta cercando di trasformare Los Angeles in un esempio, sta cercando di umiliarla”. La maggior parte delle proteste stanno avvenendo downtown, vicino alla prigione dove l’Ice sta rinchiudendo la gente. E nonostante le immagini di autorobot a fuoco e sassi lanciati ai poliziotti, “il 99 per cento delle proteste sono pacifiche”, dice l’editorialista. Anche se le manifestazioni hanno iniziato a spostarsi in altre città, fuori dai confini del Golden state, il governatore della California Gavin Newsom sta diventando il volto – necessario, perché prima non c’era nessuno – dell’opposizione anti-Maga. Ma cosa pensano i latinos  di Newsom? “Gavin ha avuto una relazione molto esile con la leadership ispanica, perché ha posto il veto su delle leggi che avrebbero dovuto aiutare le persone senza documenti”, dice. “Sono contento che oggi il governatore stia energicamente alzando la voce, cosa che ha quasi sempre fatto da quando è stato eletto, ma penso che ci sia una certa postura, qualcosa di poco autentico, soprattutto dopo che a lungo ha ballato il tango con la destra”. Arellano si riferisce al podcast creato dal politico democratico  – “This Is Gavin Newsom” – dove ha invitato diverse figure dell’alt-right, tra cui Steve Bannon, ideologo delle deportazioni trumpiane.

Molti hanno criticato la leggerezza del governatore quando questi ospiti dicevano che le elezioni del 2020 erano state rubate. La rabbia losangelina di questi giorni viene in gran parte dalla stessa comunità ispanica, tendenzialmente democratica, ma che negli ultimi anni si è in parte spostata verso il Partito repubblicano. Trump l’anno scorso ha vinto il 47 per cento del voto dei latinos maschi, una svolta. “Conosco vari elettori di Trump che ora si pentono”, ci dice il giornalista. “Ma è troppo presto per capire cosa succederà elettoralmente. Se questa rabbia continua, di sicuro ci sarà un contraccolpo”. Sappiamo anche che da sempre l’elettorato americano si fida molto di più dei repubblicani sulla gestione dell’immigrazione, e questo è uno dei temi principali grazie ai quali Trump è tornato alla Casa Bianca, e già nel 2016 “Build the wall!” era stato il suo slogan vincente. “Uno dei motivi”, ci dice Arellano, “della fiducia nei repubblicani è che troppi americani hanno ingerito le bugie nazionaliste di Trump e della sua squadra, e cioè che i migranti sono degli ‘invasori’ che minacciano l’American way of life”. Però è anche vero che “i democratici non hanno mai offerto una visione per combattere la sua ideologia, anche perché la narrativa trumpiana tocca quella sinapsi xenofobica presente nella psiche americana”.