L'industria bellica integrata di Teheran, Mosca e Pyongyang

Micol Flammini

Gli impianti russi, iraniani e nordcoreani possono produrre gli stessi droni 

Nella regione russa di Tatarstan, al centro della zona economica speciale di Alabuga, nel 2023 è stato aperto un impianto di produzione di droni che da circa due anni non fa che espandersi. Lo stabilimento era nato per assemblare gli Shahed, i droni che l’esercito russo manda contro l’Ucraina e che con il loro ronzio, che precede l’esplosione, sono il suono che annuncia gli attacchi, soprattutto notturni. Nella prima fase di esistenza dell’impianto di Alabuga, la manodopera, costituita soprattutto da immigrati dell’Asia centrale, assemblava kit forniti direttamente dalla Repubblica islamica dell’Iran. 
Gli iraniani avevano spiegato ai russi come montare i componenti. In un secondo momento, l’impianto russo ha iniziato a produrre i droni utilizzando parti spedite da Teheran e parti prodotte in Russia. Nella fase finale, in cui siamo ora, Alabuga è diventato indipendente e ha ormai avviato una produzione su vasta scala di droni, che da Shahed, che in persiano vuol dire “testimone”, sono stati ribattezzati “Geran”, geranio in russo. Mosca è diventata indipendente da Teheran per la produzione dei droni e starebbe lavorando su un nuovo modello implementato: più veloce, con più esplosivo. Il Cremlino non avrebbe mai potuto avviare un impianto per costruire droni senza l’assistenza dell’Iran che ha mandato ad Alabuga tecnici e ingegneri. 
La Repubblica islamica dell’Iran ha firmato con Mosca un accordo strategico, ha ricevuto in cambio incentivi economici, accesso alle tecnologie militari di Mosca e il suo posto in un’alleanza da rivendere in medio oriente o anche nelle trattative che proseguono con gli Stati Uniti sul progetto nucleare, per le quali domenica, in Oman, si terrà il sesto round di colloqui. L’accordo con Mosca avrebbe dovuto rifornire Teheran anche di sistemi missilistici avanzati e contraerea, ma secondo fonti israeliane, per il momento l’esercito russo non ha intenzione di procedere con le consegne. La scorsa settimana, il Wall Street Journal ha pubblicato un’inchiesta in cui raccontava di un altro ingranaggio della macchina bellica globale dei regimi e ricostruiva la consegna all’Iran di cargo pieni di perclorato di ammonio, una sostanza imprescindibile per la costruzione di missili, provenienti dalla Cina. La segnalazione del quotidiano americano ha mostrato che Teheran ha fretta di rifare il suo arsenale, non soltanto per se stesso, ma anche per  le milizie filoiraniane in Iraq e in Siria, per gli houthi in Yemen e soprattutto per Hezbollah che in Libano è stato decimato e sconfitto da Israele. Questa settimana, il presidente americano Donald Trump, per la prima volta ha detto di essere “meno ottimista” riguardo a un accordo con l’Iran. L’ottimismo del capo della Casa Bianca ha iniziato a diminuire con le minacce della Repubblica islamica dirette contro i soldati americani in medio oriente. Trump ha chiamato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu per dirgli di trattenere armi e commenti intanto che gli Stati Uniti negoziano, ma negli ambienti della Difesa americana non tutti concordano con il presidente e mostrano invece  una maggiore convergenza con l’esercito israeliano, convinto che per mettere fine al programma nucleare dell’Iran ci sia una sola strada: quella militare. L’Amministrazione americana ha iniziato ad ammettere di avere indicazioni che suggeriscono un’accelerazione da parte dell’Iran verso la costruzione di ordigni nucleari. 
Tutto si collega e la Russia è maestra dei collegamenti. La scorsa settimana, nella telefonata in cui Vladimir Putin ha annunciato a Trump la vendetta contro l’Ucraina per l’operazione Ragnatela, il capo del Cremlino ha offerto all’omologo americano il suo aiuto per mediare con l’Iran sul nucleare. Nel frattempo, secondo i servizi segreti ucraini, la Russia ha iniziato a passare alla Corea del nord  le informazioni per la costruzione dei droni apprese dall’Iran. La presenza degli Shahed in almeno due conflitti, in Ucraina e in medio oriente, e adesso anche nell’arsenale nordcoreano indica che l’alleanza dei regimi ha già   armi integrate. Soprattutto sta mettendo in piedi un’industria bellica che va da Teheran a Mosca fino a Pyongyang. 

 
  

Di più su questi argomenti:
  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)