
Il voto alla Knesset che può far scricchiolare Netanyahu
I partiti ultraortodossi minacciano il governo israeliano e vogliono un impegno contro la leva degli haredim. Gli effetti del 7 ottobre sulla società e le domande
Dal 7 ottobre, la domanda che avrebbe potuto far cadere il governo di Benjamin Netanyahu è sempre stata una: chi deve portare il peso della difesa di Israele? La domanda nei primi mesi di guerra si muoveva sotto traccia, poi, quando è parso chiaro che il conflitto contro Hamas, contro Hezbollah e gli houthi non avrebbe fatto altro che ingrandirsi, la domanda si è fatta bruciante. “E’ un effetto del 7 ottobre”, dice Aviv Bushinsky, analista politico, ex consigliere di Netanyahu per la Comunicazione. “Sta rivoluzionando lo stato e oggi, con la guerra più lunga che Israele abbia mai avuto, tutti si chiedono perché parte della popolazione sia esentata dalla leva obbligatoria”.
Molte cose cambieranno, ma questa è la prima domanda alla quale la politica dovrà rispondere. Due partiti religiosi che fanno parte del governo sono contrari al disegno di legge che imporrebbe anche agli haredim, gli ultra ortodossi, di servire nell’esercito come il resto della popolazione. Per strappare a Netanyahu l’impegno risolutivo a fare in modo che le cose non cambino per la comunità che questi partiti rappresentano, hanno annunciato che oggi voteranno a favore dello scioglimento della Knesset, il parlamento israeliano. Si tratta di una votazione preliminare, se passa, ce ne vorranno altre due. Se la Knesset verrà sciolta, si andrà a elezioni anticipate. Shas ed Ebraismo della Torah unito sono i due partiti che possono mettere a rischio la coalizione, per bloccarli, Netanyahu dovrà o trovare un compromesso oppure, come suggerisce Bushinsky, potrebbe giocare con il tempo: allungare talmente tanto le trattative in modo che il voto si tenga il prossimo anno, quindi soltanto qualche mese prima delle elezioni comunque previste per ottobre del 2026. Shas ed Ebraismo della Torah vogliono che il governo presenti una legge che esenti per sempre gli studenti delle yeshivot, le istituzioni che si occupano dell’educazione religiosa, dal servizio militare, e non sanzioni chi si rifiuta di presentarsi, contrariamente a quanto chiede l’esercito israeliano. Quando Bushinsky parla di “rivoluzione”, intende che il 7 ottobre ha messo Israele di fronte alle complicanze legate a uno dei suoi pilastri. Non esiste una norma che prevede che gli haredim debbano essere esentati dal servizio militare, esiste piuttosto un accordo che risale al 1948, quando David Ben-Gurion dispensò quattrocento studenti delle yeshivot dal servizio militare per rinvigorire degli studi che la Shoah aveva rischiato di far dimenticare per sempre. Per Ben-Gurion quell’accordo chiamato Torato Imanuto (“lo studio della Torah è il suo lavoro”) non doveva essere eterno, ma lo divenne e gli studenti da quattrocento sono ormai ottantamila. La questione non si è presentata soltanto adesso, prima si pensava che fosse l’assenza degli haredim dal mondo del lavoro il problema. Adesso è la guerra: “Ci sono persone che servono nell’esercito quasi incessantemente da un anno e mezzo, che non passano il tempo con le loro famiglie, che rischiano la vita. Non soltanto loro, ma tutta la società israeliana che ha fatto il servizio militare si domanda perché ci sia una parte della popolazione che continua a essere esentata”.
Dopo il 7 ottobre Israele vede tutto in modo diverso e la politica non si è dimostrata all’altezza dei cambiamenti necessari. Bushinsky nota come il voto di domani, per paradosso, sia il primo prezzo politico che la maggioranza di governo si trova ad affrontare. I leader dei due partiti religiosi sembrano poco inclini al compromesso, ma se si andasse a elezioni anticipate, difficilmente il tema non si riproporrebbe alla prossima maggioranza. Secondo Bushinsky, “se oggi passasse il voto per dissolvere la Knesset, il paese entrerebbe già in modalità da campagna elettorale, Netanyahu non rischierebbe elezioni immediate, ma sarebbe un colpo psicologico”.
Ieri il primo ministro ha parlato di piccoli avanzamenti nelle trattative per la liberazione degli ostaggi e la fine della guerra nella Striscia di Gaza. Secondo alcuni resoconti il problema rimane legato a come passare dal cessate il fuoco temporaneo a quello permanente, ma Hamas continua a non cedere sulla liberazione degli oltre cinquanta rapiti, non tutti vivi.
Il tema degli ostaggi sta dilaniando la società israeliana ed entrerebbe in campagna elettorale. Per il momento i sondaggi indicano che il vincitore del prossimo voto sarebbe l’ex premier Naftali Bennett, capace di intercettare molti voti di chi si sente tradito dal Likud di Netanyahu. In qualsiasi momento avvengano, anticipate o meno, le prossime elezioni saranno una resa dei conti tra il vecchio e il nuovo Israele.


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