
Così Hamas usa il cibo come arma
Il gruppo ostacola ogni nuova iniziativa per la distribuzione degli aiuti, ha subito iniziato una campagna mediatica contro la Gaza humanitarian foundation e vuole fare di tutto per farla fallire. Le lunghe code per ritirare i pacchi della Ghf sono uno schiaffo al regime, ci dice Mohammed
Mohammed parla da una stanza buia, il volto è immerso nel nero, non si distinguono i lineamenti e “Mohammed” non è neppure il suo vero nome. Il dissenso a Gaza spesso ha il volto coperto, vuole parlare ma preferisce non mostrarsi per paura di Hamas. Tutto nella Striscia di Gaza è spaventoso: il regime che non lascia tregua dopo seicentododici giorni di guerra in cui ha subìto pesanti sconfitte e ha perso i capi militari e le menti del gruppo; fanno paura le bombe che costringono a spostarsi da una parte all’altra della Striscia e la zona di salvezza si fa sempre più ristretta; fa paura dover pensare ogni giorno a dove trovare il cibo.
Mohammed viveva a Gaza City, ora è sfollato come tutti. Prima del 7 ottobre era uno studente, è riuscito a finire gli studi durante i primi mesi di guerra, ma non ha mai trovato un lavoro. Racconta di aver preso parte alle proteste contro Hamas. Appare subito una contraddizione nel ragazzo: non ha paura di andare in strada a urlare contro il regime, ma non vuole che il suo volto venga mostrato fuori dalla Striscia. Non ha paura del dissenso, teme piuttosto che si sappia di aver portato il suo dissenso fuori dai confini di Gaza. Mohammed racconta che il cibo nella Striscia è un’arma: “Hamas sfrutta le famiglie più povere, quelle che non hanno modo di pagare gli aiuti”. Alcuni cittadini di Gaza hanno confermato che i terroristi si appropriano del cibo, delle medicine e del carburante che entrano con gli aiuti umanitari. Rivendono tutto, chi può paga e porta a casa i generi di prima necessità dentro a buste con la scritta “not for sale”, non in vendita. Invece Hamas li vende eccome e chi non può comprare viene incentivato a pagare con i propri figli: “Sfrutta la povertà per reclutare. Hamas dice: ‘Se vuoi del cibo dacci tuo figlio. Ti aprirai le porte del paradiso’”. Per questo, quando si è diffusa la notizia che dentro la Striscia sarebbero stati aperti dei nuovi punti per la distribuzione di aiuti umanitari, un’iniziativa gestita da Israele e dagli Stati Uniti, i civili hanno accolto la notizia con quel poco di speranza che la situazione concede. Subito è iniziata una campagna denigratoria molto forte contro l’associazione chiamata Gaza humanitarian foundation (Ghf). Alla cattiva fama dell’iniziativa ha contribuito l’opacità dei finanziamenti della fondazione che soltanto ora stanno emergendo. “Hamas non voleva che funzionasse. Ha iniziato una campagna mediatica di demolizione davvero forte”, dice Mohammed, tra gli abitanti di Gaza che hanno sperato potesse esserci un cambiamento. “La verità è che dall’inizio è parso chiaro che la Ghf non fosse organizzata a sufficienza. Sembrava che non si aspettasse tanta gente”. La Ghf aveva in programma di aprire in tutto otto centri per il ritiro degli aiuti. Finora è riuscita a farne funzionare quattro, ma ha dovuto più volte chiudere: “All’inizio non sapevamo neppure dove fossero questi punti di ritiro, non conoscevamo le regole di distribuzione”. Dopo alcuni giorni in cui i centri di raccolta della Ghf sono rimasti chiusi, questa settimana hanno riaperto e ieri ha dovuto chiudere di nuovo per degli spari tra la folla. Mohammed enuncia tutti i difetti che l’associazione dovrebbe migliorare: “Innanzitutto manca di organizzazione. Era chiaro che non si aspettasse tanta gente, ma i gazawi speravano in un meccanismo che tenesse fuori Hamas. Inoltre non c’è un sistema che regoli quanto può ricevere ogni famiglia. Chiunque si metta in fila ritira, finché c’è da ritirare. Ci sono famiglie che hanno mandato qualcuno a fare la fila più di una volta, e questo non va bene”. Mohammed racconta che invece alcune associazioni umanitarie dentro la Striscia chiamano quando c’è qualcosa da ritirare, hanno i dati delle famiglie. “Il fatto che chiunque si metta in fila possa ricevere è buono e la quantità di aiuti è molto generosa. Però la distribuzione con i nomi funziona meglio”. Alcune agenzie internazionali hanno accusato la Ghf di voler schedare i civili, secondo il racconto di Mohammed c’è una condivisione dei dati minore rispetto ad altri centri di distribuzione. “Non boccio la Ghf, ma deve funzionare al meglio. Se si toglie a Hamas la distribuzione degli aiuti, si priva il gruppo della capacità di reclutare nuovi ragazzi”. Secondo Mohammed, il gruppo non si aspettava che i gazawi si sarebbero messi in fila per riscuotere gli aiuti da un’organizzazione nuova: “Le lunghe code davanti ai punti di ritiro della Ghf sono state uno schiaffo in faccia a Hamas”.
Il primo giugno, Mohammed è andato a ritirare gli aiuti. Verso le 12 si trovava nella zona di Netzarim. Tra la folla in coda ha visto dei cadaveri. Quel giorno diverse testate hanno ripreso la notizia di colpi sparati dai soldati israeliani contro i civili. Secondo immagini e racconti dei gazawi, tra cui Mohammed, quella sparatoria non c’è stata: “Ho visto uomini con il fucile in mano che hanno iniziato a sparare. L’esercito israeliano è lontano dai punti di distribuzione, in cui invece sono gli americani a dover garantire la sicurezza. Hamas quel giorno ha cercato di far fallire la Ghf, provando a dimostrare che era pericoloso andare a ritirare il cibo in quel modo”. E pericoloso lo è davvero, estenuante anche. Per Mohammed però rimane un esperimento da implementare in fretta nell’interesse dei civili.


tra washington e pechino
Trump è costretto a negoziare con la Cina per avere il samario, cruciale per fare i missili

Nella galassia di Xi