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Il colloquio
Così Buckley ha scritto il copione conservatore degli anni Ottanta, ci racconta il suo biografo
“È stato il mentore di Reagan, il primo ideologo e intellettuale performativo d’America, con un’arguzia rapida e doti verbali senza pari. E gli piaceva sfoggiarle". La sua storia in un libro da quasi mille pagine scritto da Sam Tanenhaus
William F. Buckley junior è stato uno dei personaggi più in vista degli anni Ottanta, tanto da avere una specie di cameo nell’Aladdin della Disney. Buckley sdoganò la figura dell’intellettuale conservatore, divenne un personaggio televisivo, litigò con Gore Vidal, fondo la National Review, si candidò a sindaco di New York, ed ebbe una grande influenza sulle scelte di Ronald Reagan e sul futuro del Partito repubblicano. Lo scrittore e giornalista Sam Tanenhaus ha appena dedicato a questo bon vivant un libro di quasi mille pagine, “Buckley: the life and revolution that changed America”, un vero page turner, che attraverso Buckley racconta mezzo secolo di storia americana con grande chiarezza e intelligenza. Come ha scritto il New Yorker: “Il libro è una storia della vita politica americana del dopoguerra nella forma di una biografia di uno dei suoi protagonisti”.
“Non avevo idea che il libro sarebbe stato così lungo”, dice Tanenhaus al Foglio, “quello che però sapevo era che la vita di Bill Buckley era estremamente piena, e ricca. Lo sapevo perché diventammo amici nel 1990 mentre lavoravo al mio libro su uno dei suoi mentori, il famoso ‘testimone’ ex comunista Whittaker Chambers. Fui colpito subito dal calore, la bontà, la simpatia, la generosità e l’humor, e dal suo interesse per me, io che non ero nessuno, proprio agli inizi della mia vita professionale”. Oggi forse ce ne dimentichiamo, ma la sua influenza è stata notevole per tutto il movimento conservatore. “Buckley è stato il mentore di Reagan, che aveva incontrato a Los Angeles nel 1961”, spiega Tanenhaus, quando Buckley era “il leader del movimento conservatore americano, e Reagan un suo ammiratore. Vent’anni dopo, Reagan iniziò il suo primo mandato da presidente, e Buckley – autore, opinionista su carta e in tv – era il suo più grande sostenitore”. Cosa li legava? “Un profondo anticomunismo. Nel 1987, quando Reagan chiede pubblicamente a Gorbaciov di ‘buttare giù il muro’, sta leggendo un discorso di un giovane discepolo di Buckley. Per riassumere, Buckley ha scritto il copione ideologico degli anni Ottanta, e il suo discepolo Reagan, il ‘grande comunicatore’, lo ha attuato”.
Nel libro si parla anche degli argini costruiti da Buckley verso una destra più estrema, spesso razzista, che trovava il suo centro nella John Birch Society (e che invece con il trumpismo è tornata alla ribalta). “Buckley ha avuto un ruolo unico, ha fatto la ‘supervisione da adulto’ sui conservatori, e allo stesso tempo è stato un forte critico dell’establishment liberal, quella che oggi chiamiamo élite, ma è stato anche un perfetto insider e un ‘uomo di mondo’. Si opponeva a ogni forma di nichilismo e si aspettava lo stesso dagli altri dentro il movimento. Oggi non c’è una figura equivalente in politica, che sia rispettata universalmente”. E poi, Buckley era un performer. Un abile utilizzatore di tutti i media a disposizione, in questo un anticipatore. E’ stato, dice Tanenhaus, “il primo ideologo e intellettuale performativo d’America, con un’arguzia rapida e doti verbali senza pari – e gli piaceva sfoggiarle, soprattutto in Firing Line, il suo programma di dibattiti che ha presentato dal ’66 al ’99. Ma il suo vero talento era ascoltare. Una qualità da cui tutti possiamo imparare”. In privato sapeva “spegnere il motore”. Tanenhaus che l’ha conosciuto e frequentato, ricorda che alla fine gli interessava parlare di libri o di musica o delle varie amicizie che aveva, più che di politica.
A differenza di Buckley – che si vantava di non fare molta ricerca prima di scrivere, e che riusciva a fare un pezzo di opinione in venti minuti, o un intero libro mentre era in vacanza a Gstaad – c’è stata molta ricerca e molto materiale da leggere e analizzare per arrivare a Buckley, tra cui varie interviste con familiari e amici. Tanenhaus dice che la scoperta principale che ha fatto mentre lavorava al libro, riguarda la crescita e l’educazione di Bill junior, che è anche “la chiave per svelare il mistero di Bill Buckley. Sesto di dieci fratelli con un padre assente e una madre piuttosto distante”, venne cresciuto da tate messicane, in una grossa proprietà in Connecticut, e la sua prima lingua era lo spagnolo. “Da bambino è stato intensamente solo. E dal suo profondo bisogno di compagnia è nato un intero movimento politico”. Un’altra scoperta, dice Tanenhaus, è stata quella dello stretto rapporto tra la famiglia Buckley e il sud, “con tutta la sua travagliata questione razziale. Per un periodo la famiglia era proprietaria di un giornale pro apartheid in South Carolina, dove avevano una tenuta estiva. Quando ho trovato i numeri di questo giornale ho capito il vero valore storico di Bill Buckley: univa tutti i diversi filamenti del conservatorismo del 20esimo secolo”.