
Un tank siriano messo fuori uso dagli israeliani nel bacino di Yarmouk, nel sud della Siria (foto Getty)
il pugno duro di bibi
Israele attacca la Siria, dove gli iraniani non aspettano altro che il caos per tornare
Ai razzi lanciati da una milizia filoiraniana, Netanyahu risponde con le bombe contro le forze armate di Damasco, le stesse che odiano Teheran. Manca una visione
Per la prima volta dalla caduta del regime di Bashar el Assad, Israele è stata il bersaglio di alcuni razzi lanciati dal sud della Siria. L’attacco non ha causato vittime o danni e il lancio sarebbe avvenuto da un villaggio vicino a Daraa, non lontano da dove le forze israeliane compiono quotidiani sconfinamenti in territorio siriano da dicembre a oggi. La reazione di Tsahal è stata molto dura, dapprima con colpi di artiglieria che hanno preso di mira diversi villaggi siriani affacciati sul Golan, poi bombardando alcune basi militari. Gli obiettivi dell’Idf sono stati la base della 175esima brigata a Izraa e quella della 121esima a Kenaker, entrambe nel sud del paese. La risposta è arrivata anche via terra, con un convoglio israeliano che ha sconfinato di nuovo nella notte di lunedì, rinforzando la presenza di Tsahal nel villaggio siriano di Ma’ariya.
A rivendicare l’attacco contro Israele è stata una milizia filoiraniana di cui si sa abbastanza poco. Si chiama Kataib Awli al Bas, che significa letteralmente Brigate della Grande Potenza e il suo vessillo con una mano che impugna un fucile AK-47 è molto simile a quello delle Guardie rivoluzionarie iraniane. Awli al Bas è attiva da gennaio, quando dal suo canale Telegram aveva lanciato un ultimatum contro Israele affinché interrompesse i suoi attacchi nel sud della Siria. Nel corso di questi sei mesi di vita, la milizia ha tentato di rivendicare online un paio di attacchi contro l’Idf, senza però che nessuno di questi annunci trovasse conferma. La prassi di mettere la firma su attacchi mai avvenuti o lanciati da altri è molto diffusa tra le milizie filoiraniane sia in Siria sia in Iraq, perché serve a fare parlare di sé e a creare il caos, ovvero il contesto perfetto per questi gruppi armati foraggiati da Teheran. Stavolta la responsabilità di Awli al Bas trova conferma in un video di pochi secondi diffuso su Telegram che mostra il lancio di razzi da Tasil a ovest di Daraa.
Il fatto che il responsabile dell’attacco sia un gruppo armato filoiraniano e ostile alle nuove autorità di Damasco, agli israeliani importa il giusto: “Riteniamo il presidente siriano direttamente responsabile di ogni minaccia e attacco contro lo stato di Israele, e la risposta completa arriverà il prima possibile. Non permetteremo che si torni alla realtà del 7 ottobre”, ha annunciato su X il ministro della Difesa, Israel Katz. Si tratta di un cambio di toni drastico da parte del governo israeliano che di recente, almeno in via ufficiale e sotto le pressioni (mal sopportate) di Donald Trump, aveva detto invece di essere disposto a collaborare con il presidente siriano Ahmad al Sharaa. Dal viaggio fatto da Trump in medio oriente due settimane fa fino a oggi, gli attacchi israeliani in territorio siriano si erano interrotti e l’incontro tra il presidente americano e Sharaa a Riad aveva intavolato una trattativa che prevedeva persino la normalizzazione delle relazioni diplomatiche fra Siria e Israele. L’inviato speciale della Casa Bianca in Siria, Thomas Barrack, aveva poi calibrato meglio le aspettative di Trump, auspicando che il dialogo fra i due paesi partisse piuttosto dalla firma di un trattato di non aggressione – un obiettivo comunque di portata epocale, considerando che Israele e Siria sono tecnicamente paesi belligeranti dal 1948. Le aperture di Sharaa allo stato ebraico sono sempre state funzionali alla rimozione delle sanzioni economiche occidentali, un passaggio fondamentale per ridare respiro al paese dopo oltre dieci anni di guerra. D’altro canto, l’insistenza di Trump per arrivare a una tregua con la Siria è sempre stata accolta con freddezza dal premier israeliano Benjamin Netanyahu, che sin dal giorno dell’insediamento di Sharaa ha definito le nuove autorità di Damasco “un regime terrorista legato all’islam radicale”.
Ora il contrattacco violento lanciato contro le basi militari del nuovo esercito siriano suona come un messaggio preciso diretto a Damasco: non ci importa delle vostre dichiarazioni di intenti, noi non ci fidiamo. La strategia dello stato ebraico però è oscura. Se a essere colpite e indebolite sono le forze armate siriane che puntano a smantellare le milizie legate all’Iran, oggi considerate il male assoluto tanto dalle parti di Damasco quando da quelle di Gerusalemme, il rischio più concreto è quello di destabilizzare il sud della Siria. E una Siria instabile può far comodo solamente agli ayatollah, perché è solo nel caos che l’Iran potrebbe ritrovare un piccolo e insperato spiraglio per mettere di nuovo piede nel paese, tornando alle porte dello stato ebraico e minacciando, per davvero, “che si torni alla normalità del 7 ottobre”.