
Leonard Leo (Getty)
"farabutto"
Trump attacca Leonard Leo, che pure ha guidato la rivoluzione conservatrice dei giudici
L'architetto del potere giudiziario conservatore, finisce nel mirino del trumpismo più impulsivo. Il contrasto tra strategia istituzionale e deriva emotiva compromette l’egemonia della destra americana
Davvero Leonard Leo è un “farabutto” che “probabilmente odia l’America”? Come ormai sempre più spesso accade, le rapsodie emotive social trumpiane individuano i nemici, li indicano alla massa per isolarli e per metterli fuori dal circolo dei lealisti. Può così accadere che anche un’istituzione di quel Conservative Legal Movement, che così tanti successi per la causa della sua fazione ha contribuito a costruire, possa essere additato dal presidente degli Stati Uniti come una delle variabili che hanno portato alla sentenza che ha messo in discussione la sua politica sui dazi doganali. Figura inafferrabile di un mondo di mezzo che è stato decisivo dietro le quinte nel plasmare l’odierna Corte Suprema e la composizione della magistratura federale, Leonard Leo negli anni ha costruito una solida rete di organizzazioni che si sono dedicate a promuovere idee e uomini per difendere i princìpi fusionisti del conservatorismo e del libertarismo. Attraverso la sua leadership e la sua influenza sulla Federalist Society, la sua attività di consulente per diversi presidenti e la sua ideazione e costruzione di una potente e ben finanziata rete di organizzazioni conservatrici, è stato un architetto chiave nello sforzo decennale di conservatori e libertari per rimodellare la magistratura statunitense e promuovere una specifica visione dell’interpretazione costituzionale.
Il Movimento, che alcuni hanno definito il “Leo-verso”, è diventato l’infrastruttura decisiva per la rottura dell’egemonia progressista su alcune istituzioni fondamentali per il ciclo politico americano e la successiva strategia di riegemonizzazione conservatrice fondata sull’influenza sul ciclo politico, mediatico e giudiziario. Ogni cosa si tiene nel “Leo-verso”. E’ questa però un’impresa che ha bisogno di struttura e complessità. Uomini e mezzi non possono muoversi in maniera emotiva e rapsodica, ma tutto deve corrispondere al disegno di egemonia sociale attentamente vagliato da Leo. Leonard Leo è un conservatore duro che crede in alcuni princìpi come lo stato minimo, la tradizione, l’originalismo nell’interpretazione delle norme giuridiche. Un attivista che vede in alcune istanze del progressismo woke cenni apocalittici che vanno fermati. Ma non è possibile delegare quest’opera ai capricci da social media di un tycoon newyorchese. Bene farne uso fin quando serve, fin quando è possibile. Causa, struttura e complessità hanno però forse bisogno di uomini di una tempra diversa e nelle ultime uscite pubbliche di Leonard Leo questi problemi con il trumpismo, anche se non menzionati esplicitamente, erano intuibili fra le righe. Basta ascoltare il suo recente intervento dell’11 marzo presso la Cambridge Union: “Ciò che fa di me un conservatore è la mia adesione a un modo di pensare coerente e basato su alcuni princìpi fondati sull’ordine naturale delle cose”. Questo modo di pensare “prescinde dalle soluzioni di alcune questioni di policy concrete”, perché ciò che conta è “preservare i princìpi”.
L’attacco contro Leonard Leo testimonia la sempre più compiuta de-istituzionalizzazione del trumpismo incapace di causa, struttura e disciplina. Ma senza queste tre variabili non c’è egemonia possibile, solo comunicazione situazionista destinata a durare il tempo di un tweet o di uno status su Truth. “Sono molto grato al presidente Trump per aver trasformato i tribunali federali, è stato un privilegio essere coinvolto”, sono state le prime parole di Leonard Leo. “C’è sicuramente ancora del lavoro da fare, ma la magistratura federale è migliore di quanto non sia mai stata nella storia moderna, e questa sarà l’eredità più importante del presidente Trump”. Causa, struttura, disciplina. Attendendo la prossima sentenza.

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