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Separazione dei poteri e facoltà del Congresso. I giudici (conservatori) fermano Trump
La corte statunitense specializzata nelle dispute commerciali respinge le argomentazioni trumpiane sull’asserita emergenza nazionale poste alla base delle misure restrittive: una vittoria piena contro i dazi dannosi e illegittimi stabiliti dal nuovo inquilino della Casa Bianca, a cui non resta che sperare nel sostegno della Corte suprema
Sui dazi imposti da Donald Trump alle merci provenienti da altri paesi gli studiosi di economia e i banchieri centrali hanno espresso giudizi assai perplessi o apertamente critici: secondo il presidente della banca centrale americana, Jerome Powell, basta l’incertezza sui dazi a causare danni duraturi; secondo il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, bisogna continuare a scegliere la cooperazione anziché il conflitto; per gli economisti liberali americani, il cui appello è stato pubblicato sul Foglio il 24 aprile, il libero scambio, non il protezionismo, ha fatto grande l’America.
Anche tra i giuristi vi è stato dibattito. Ci si è chiesti se, oltre a mettere in pericolo il benessere degli americani, i dazi siano illegittimi, perché Trump ha ecceduto l’ambito dei poteri che gli spettano. E’ una questione diversa rispetto a quelle finora affrontate dalle corti federali relativamente ai diritti – soprattutto al due process of law – spettanti ai funzionari federali licenziati, agli immigrati trasferiti in altri paesi e agli studenti cui viene negato il permesso di soggiorno. La questione è stata posta alla corte specializzata nelle dispute commerciali da due gruppi di ricorrenti: si tratta sia di alcuni stati, come la California e l’Oregon, sia dal Cato Institute, un think tank di ispirazione libertaria, fondata da Murray Rothbard, la cui visione è compendiata nella formula “una società libera e aperta”, realizzabile da mercati aperti e da una limitazione dei poteri governativi. Si ispira a questa visione il ricorso presentato da Ilya Somin, professore nella Law School della Virginia intitolata ad Antonin Scalia, che per molti anni ha rappresentato l’ala più conservatrice all’interno della Corte suprema. Ed è significativo che la corte specializzata nelle dispute commerciali, che ha accolto i ricorsi con un verdetto unanime, sia composta da tre giudici, scelti – rispettivamente – da Reagan, Obama e dallo stesso Trump.
Sono tre i principali argomenti accolti dalla corte. Il primo fa leva sulla separazione dei poteri, posta a fondamento dell’assetto costituzionale fin dal 1787: non il presidente, bensì il Congresso “avrà il potere … di fissare e riscuotere tasse, diritti, imposte e dazi” (articolo 1, sezione 8). La norma va applicata con rigore, badando alla sua ratio sostanziale, cioè evitare la concentrazione dei poteri. Il secondo argomento riguarda la possibilità che il Congresso deleghi alcuni poteri al presidente. La corte ha richiamato i Federalist Papers, in particolare la tesi di James Madison secondo cui il Congresso non può abdicare al potere che gli è attribuito o trasferirlo ad altri. Nulla, quindi, autorizza misure “illimitate” come i dazi decisi quest’anno nel cosiddetto Liberation day. Il terzo argomento è che la legge invocata da Trump gli consente di regolare l’importazione di beni e di servizi, non d’imporre dazi a suo piacimento e a scopo di ritorsione contro numerosi paesi. Non gli consente nemmeno d’introdurre le tariffe imposte sulle importazioni di fentanyl da Canada, Messico e Cina.
E’ degno di nota, infine, che la corte abbia respinto le argomentazioni dei legali governativi basate sull’asserita emergenza nazionale e sul fatto che si trattasse di questioni politiche, sulle quali non possono pronunciarsi i giudici. Come ha notato Somin, è una vittoria piena contro i dazi dannosi e illegittimi stabiliti da Trump, cui non resta che sperare nel sostegno della Corte suprema. Ma quest’ultima, nel 2023, ha invalidato il programma di cancellazione dei debiti studenteschi deciso da Joe Biden proprio richiamando la distinzione tra l’ordinaria amministrazione e i poteri d’indirizzo generale, spettanti al Congresso, cioè ai rappresentanti di tutti, non di una sola parte.