Le soluzioni creative di Trump che con l'Iran va di fretta

Micol Flammini

Gli Stati Uniti vogliono un accordo con Teheran e cercano di tenere a freno Israele

C’è un punto su cui gli Stati Uniti e la Repubblica islamica dell’Iran non riescono proprio a trovare una soluzione nel formulare un nuovo accordo sul nucleare. Questo punto riguarda l’arricchimento dell’uranio che, secondo Washington, deve essere portato a zero e, secondo Teheran, invece deve essere mantenuto a una percentuale idonea alla produzione civile. Questo punto però è il cuore di tutto, o cede una parte o cede l’altra, o salta tutto e, per mantenere vivo il negoziato, l’Amministrazione americana starebbe vagliando assieme agli omaniti, che nei colloqui fanno da mediatori, delle soluzioni che il New York Times definisce “creative”. Per gli Stati Uniti è importante mandare un segnale a Israele per frenare il suo piano di attaccare i siti nucleari dell’Iran. Non ci sono sviluppi concreti con Teheran, quindi l’inviato speciale Steve Witkoff e gli omaniti hanno proposto la creazione di una joint venture.  Il meccanismo  tra Iran, Arabia Saudita e altri paesi arabi con il coinvolgimento degli Stati Uniti servirebbe alla produzione di combustibile nucleare. Un’altra soluzione “creativa” potrebbe essere l’annuncio di un’intesa provvisoria in cui verrebbero inseriti  i princìpi comuni: una specie di cornice senza quadro all’interno. Lo stato ebraico sta cercando di monitorare i negoziati da vicino, venerdì scorso il ministro degli Affari strategici Ron Dermer e il capo del Mossad David Barnea erano a Roma per parlare con Witkoff, ieri sono andati a Washington per essere aggiornati sulle nuove mosse dell’Amministrazione americana. Non c’è fiducia nei colloqui e la presenza di Barnea e Dermer serve a dare l’illusione di un controllo che lo stato ebraico non può avere. 
 Israele è in grado di preparare un attacco a Teheran in sette ore, un lasso di tempo in cui gli Stati Uniti non sarebbero in grado di intervenire. Nel caso in cui, dopo un attacco, Teheran reagisse, gli americani dovrebbero intervenire per aiutare Israele. Washington sta cercando di frenare Israele, che non crede all’accordo, e vuole metterlo di fronte al fatto compiuto di un negoziato molto avviato. Trump ha chiamato Benjamin Netanyahu per dirgli che un attacco sarebbe inappropriato. Gli argomenti su cui il presidente americano e il primo ministro israeliano non vanno d’accordo aumentano: Trump vuole  la fine della guerra a Gaza e si aspetta l’annuncio di un accordo con Hamas in tempi rapidi. Israele ieri ha confermato di aver eliminato Mohammed Sinwar, fratello di Yahya. Secondo alcuni analisti, l’esilio dei leader ancora vivi del gruppo potrebbe essere una delle condizioni per ricostruire il futuro politico della Striscia. 
 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)