
Ansa
L'editoriale del direttore
Le conseguenze dell'intifada globale: uccidere un ebreo in quanto ebreo
L'antisemitismo non è mai scomparso. Una lettera a chi vuole fare del terrorista di Washington un nuovo Mangione, cioè un eroe moderno che si fa giustizia da solo
Questo articolo è rivolto a tutti coloro che senza dirlo pubblicamente dopo aver letto la drammatica notizia arrivata ieri mattina, la notizia cioè dei due ebrei uccisi in quanto ebrei da un radicale di sinistra a Washington, non hanno trovato la forza di condannare i due omicidi senza pensare per un istante che in fondo quei due se la sono cercata, senza pensare per un istante che in fondo l’assassino pro Pal qualche ragione ce l’ha, senza pensare per un istante che l’antisemitismo con questa storia non c’entra nulla. C’entra, invece, la guerra a Gaza, c’entra la reazione contro quello che sta facendo Israele, c’entra il fatto che un popolo oppresso, martoriato, devastato non può che affidarsi, in giro per il mondo, ai suoi eroi della resistenza, ai suoi partigiani della libertà, per difendersi da un aggressore chiamato stato ebraico. Questo articolo è rivolto a tutti coloro che non capiscono che l’antisemitismo in giro per il mondo non è il risultato di una reazione a qualcosa che sta accadendo, non è il risultato della guerra difensiva che Israele sta combattendo contro Hamas a Gaza, con tutte le sue tragedie e con tutti i suoi errori, ma è il risultato di un’ideologia solida, ben radicata nel tempo, frutto di un’azione che nasce da un brodo di coltura che usa l’antisionismo solo come un velo presentabile per nascondere un odio più radicato nel tempo: la volontà, il desiderio, la necessità persino di trasformare ogni ebreo in un criminale di guerra e la volontà di trasformare chiunque colpisca un ebreo in quanto ebreo in giro per il mondo in un atto eroico di resistenza civile per punire Israele.
Liliana Segre, che non ha bisogno di presentazioni, giorni fa, in una bellissima intervista al Corriere della Sera, ha ricordato quello che dovrebbe ricordare chiunque, in un angolo della propria testa, ha la tentazione di considerare l’estremista pro Pal che ha ucciso, forse verrebbe da dire giustiziato, i due funzionari dell’ambasciata israeliana a Washington, come un nuovo Luigi Mangione, un eroe moderno che si fa giustizia da solo contro i nemici della contemporaneità, e ha ricordato, da sopravvissuta all’Olocausto che non ha a cuore nella maniera più assoluta l’azione di Netanyahu, che l’antisemitismo non è mai morto, ma dormiva nascosto in qualche anfratto delle menti, e mentre prima ci si vergognava, non lo si lasciava emergere, adesso semplicemente non ci si vergogna più. Dal 7 ottobre del 2023, l’antisemitismo è esploso in giro per il mondo non a causa di Israele ma a causa di un odio nei confronti degli ebrei che nel mondo era latente da tempo. E’ lo stesso odio che porta a minimizzare ogni atto di antisemitismo che si verifica nel mondo, lo stesso odio che porta a considerare un pogrom contro tifosi israeliani come uno scontro di tifoserie, lo stesso odio che porta a considerare le minacce agli ebrei in tutto il mondo come frutto di lupi solitari, lo stesso odio che porta a considerare il boicottaggio di Israele uno strumento più prezioso del boicottaggio di Hamas, lo stesso odio che porta a trasformare ogni sussurro di Hamas come il riflesso di una verità assoluta, lo stesso odio che porta a equiparare la guerra tragica di Israele contro Hamas e il terrorismo degli integralisti che vogliono distruggere Israele per quello che rappresenta, non per quello che fa.
Lo stesso odio che porta a ragionare sulla guerra a Gaza rimuovendo una verità storica che anche gli osservatori più assennati hanno scelto ormai di allontanare dal proprio orizzonte: che la guerra a Gaza potrebbe finire subito se Hamas rilasciasse gli ostaggi e si arrendesse. Israele si può criticare per quello che fa, e in questa fase storica non sono solo i nemici di Israele a essere sconcertati per quello che fa Israele a Gaza, e anche gli amici di Israele dovrebbero avere la forza di ricordare più spesso che una critica a Netanyahu non può essere sempre letta come la spia di un antisemitismo di ritorno. Ma quando nelle prossime ore a qualcuno verrà la tentazione di pensare che globalizzare l’Intifada sia l’unico modo per difendere Gaza bisognerebbe ricordare che ogni volta che un ebreo viene ucciso in quanto ebreo e ogni volta che si sceglie di non capire quale sia il dramma che si nasconde dietro l’antisemitismo non si sta difendendo Gaza ma si sta difendendo un’idea liberticida: trasformare il terrorismo in un atto sincero di libertà e fare della demonizzazione degli ebrei un atto di resistenza. Ci sono colpe che Israele ha, anche quando si difende, ma tra le colpe di Israele non c’è quella di aver fatto diventare l’antisemitismo una nuova emergenza globale. La differenza tra ieri e oggi è che prima ci si vergognava, non lo si lasciava emergere, adesso semplicemente non ci si vergogna più.