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L'editoriale dell'elefantino

La nuova guerra a Gaza pone un grosso problema politico per Netanyahu

Giuliano Ferrara

Se l’occupazione e il controllo della Striscia sono l’obiettivo e il contesto della nuova iniziativa miliare denominata “Carri di Gedeone”, allora serve un'assunzione di responsabilità del governo israeliano. Un esercizio di saggezza per un territorio senza Hamas e contro Hamas

Netanyahu ha replicato all’oppositore Yair Golan, che aveva definito i comportamenti sul campo di Israele a Gaza come espressione di una condizione di insania rivoltante: l’esercito israeliano è “il più morale al mondo”, il che è vero, per quanto si possa giudicare con il criterio della moralità un esercito combattente. La logica tragica della guerra a Gaza, con il corollario della repressione del terrorismo in Cisgiordania, è difendibile senza incertezze sul piano etico. Un paese e un popolo che vogliano sopravvivere, dopo il pogrom del 7 ottobre, non si lasciano ricattare e sfidare da un esercito terrorista che si è annesso un territorio e i suoi abitanti, si fa scudo di ostaggi catturati oltre il confine e dei propri civili, donne vecchi e bambini, nascondendosi sottoterra e al riparo di ospedali, scuole e moschee e centri umanitari. Le conseguenze sono disperatamente evidenti, ma è moralmente ipocrita, quando non sia inquinato da pulsioni ideologiche e da antisemitismo travestito da antisionismo, affermare che ci fossero alternative a una guerra dispiegata per eliminare Hamas. 

Ora però Hamas ha ricevuto colpi decisivi, e i leader di guerra di Israele possono rivendicare di aver rotto l’assedio militare anche sugli altri fronti, dal Libano degli Hezbollah all’Iran, alla Siria. Il paese, sia chiaro, resta vulnerabile e titolare del pieno diritto all’autodifesa. I missili houthi colpiscono il suo principale aeroporto, l’Iran con una mano tratta con il disinvolto Trump e con l’altra è ancora l’origine delle aggressioni dei suoi intermediari del terrore e intanto proclama il suo diritto all’arricchimento dell’uranio, difendendo lo status di potenza prenucleare che ha tra i suoi fini l’annientamento di Israele. La Cisgiordania è percorsa dalla febbre nichilista che considera “atto eroico” l’uccisione a freddo di una donna israeliana incinta, secondo i comunicati dei terroristi lì insediati. La Siria oscilla tra una stabilizzazione forzata siglata dalla classe dirigente di al Qaida e dell’Isis, che ha cacciato Assad, e la prospettiva di una nuova guerra civile affacciata sull’ignoto. Detto questo, è evidente, e riconosciuto o rivendicato da Netanyahu nella conferenza stampa di mercoledì scorso, che la guerra di Gaza sta cambiando segno. L’occupazione e il controllo della Striscia sono l’obiettivo e il contesto della nuova iniziativa miliare denominata “Carri di Gedeone”. L’obiettivo è non solo la pressione per il rilascio delle ultime decine di ostaggi vivi e morti imprigionati nei tunnel e l’eliminazione delle ultime sacche di resistenza terroristica, ma appunto occupazione e controllo pieno del territorio.    

Qui nascono due seri problemi. Se occupi un territorio e lo controlli, il tuo primo obiettivo non può che essere sfamare la popolazione civile e procurarle acqua da bere. Su questo piano l’assedio posto a Israele dal partito umanitario, con la partecipazione dell’Onu e di un impressionante numero di governi democratici alleati di Israele, rischia di condannare il paese che si difende, e ora lo fa attraverso occupazione e controllo del campo nemico, a un isolamento significativo e molto pericoloso. La fanfaluca secondo cui Israele è stata tratta in una guerra sanguinosa e tragica per soddisfare esigenze di primato politicante o parlamentare di un leader e della coalizione che ha vinto le elezioni e governa è indegna di alcuna considerazione. 

Così come sono repellenti le accuse di complicità in uno sterminio o genocidio rivolte a chi ha condotto o sostenuto in pieno le ragioni della guerra contro Hamas a Gaza. Ma la responsabilità cui è chiamato il governo Netanyahu nel passaggio di fase da una guerra di difesa e controffensiva contro il terrore antisemita alla occupazione militare di un territorio in cui abitano oltre due milioni di abitanti è diversa. E su questo non si vede una presa d’atto e di coscienza del governo israeliano. Il secondo problema è la prospettiva politica, lo sbocco. I due stati e due popoli sono un flatus vocis, una tiritera diplomatica sempre meno significativa. Il piano Trump di pulizia etnico-turistica della Striscia ha però lo stesso statuto delle vecchie fole dissolte dalla storia diplomatica e militare del medio oriente, è semplicemente qualcosa che non si può fare se non al prezzo di creare il mito o narrazione sacra di una nuova Nakba e rinviare di non si sa quanti decenni il miraggio di una stabilizzazione anche solo provvisoria. Una soluzione transitoria e credibile di tipo politico per il governo della Striscia senza Hamas e contro Hamas dovrebbe essere appunto un esercizio di responsabilità politica e di saggezza di Israele e del suo governo nel momento in cui si perseguono occupazione e controllo del territorio conquistato. Non è un problema morale, è il problema politico di Netanyahu e di Israele. 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.