in Serbia

I russi ostentano il loro ruolo nella cattedrale ortodossa di Belgrado

Giulia Mariani

Mosca rafforza la sua influenza in Serbia finanziando l’arte sacra ortodossa. Ma i giovani serbi contestano un’identità nazionale sempre più condizionata da Mosca e Pechino.
Tra mosaici monumentali e tour digitali, la cattedrale di San Sava riflette l’intreccio tra religione, politica e geopolitica nei Balcani

Belgrado. In cima alla collina di Vračar, a Belgrado, c’è il tempio di San Sava, la più grande cattedrale ortodossa dell’area balcanica, completata grazie a un recente finanziamento da parte dell’azienda petrolifera russa Gazprom Neft – un finanziamento che racconta molto dei legami politici della Serbia di ieri e quella di oggi. Procedendo dall’arteria della città, via Kralja Milana, e dalla piazza centrale di Terazije, ci si imbatte in un edificio di dimensioni straordinarie: tremila metri quadrati di pianta a croce greca per 79 metri di altezza, di cui 65 tra pavimento e cupola, quasi dieci in più di Santa Sofia a Istanbul. Il mosaico di 17 metri del Cristo Pantocratore, che benedice con entrambe le mani, è la prima cosa che salta all’occhio varcando le porte della cattedrale. Il tempio, che per la sua estetica tradizionale bizantina sembra essere stato edificato nella Costantinopoli del IV secolo d.C., è volutamente impressionante e, grazie al ruolo di Gazprom Neft, rientra nella propaganda filorussa nella Serbia contemporanea, che da sempre fa leva sulla religiosità ortodossa.


Nonostante il passato comunista, in questo paese religione e politica sono sempre andate a braccetto. Basti pensare alla pulizia etnica perpetrata tra 1992 e 1995 nei confronti dei bosgnacchi musulmani della Bosnia Erzegovina, culminata nel genocidio di Srebrenica del luglio 1995. E’ emblematica la scelta di dedicare questa possente cattedrale a San Sava, vescovo serbo le cui spoglie furono bruciate dai turchi il 27 aprile 1594, durante la dominazione ottomana della città, proprio sulla collina di Vračar, in corrispondenza del tempio odierno. Cinque secoli fa le fiamme dei turchi si vedevano da ogni lato del Danubio, oggi non c’è punto del fiume da cui non si veda questo luogo sacro dell’ortodossia cristiana.

I lavori pubblici per la costruzione del tempio iniziarono nel 1935, ma furono continuamente interrotti, tra il bombardamento nazista di Belgrado nel 1941, le ripetute crisi interne che portarono alla dissoluzione della Jugoslavia, la guerra del Kosovo e il bombardamento di Belgrado da parte della Nato nel 1999. L’apertura al pubblico risale al 2004, ma il progetto musivo degli interni, affidato all’Accademia russa delle arti, è stato completato soltanto nel 2021, grazie “agli sforzi congiunti dei popoli fratelli di Serbia e Russia”. Quest’ultimo, come anche i mosaici, è stato realizzato con l’ingente supporto di Gazprom Neft, azienda petrolifera russa sussidiaria della più nota Gazprom. Tutto ciò è ripetutamente puntualizzato negli spazi del tempio di San Sava, a partire dai pannelli introduttivi nell’antistante Piazza Slavija. L’intento propagandistico non è neanche celato: non deve passare inosservato che la Russia abbia aiutato la sorella Serbia per costruire la più grande cattedrale ortodossa nei Balcani post sovietici.

Vladimir Putin  aveva avviato la partecipazione della Russia come suggello alla fratellanza tra i due popoli quando, nel 2012, l’allora presidente conservatore e nazionalista Tomislav Nikolić si era recato a Mosca per partecipare al congresso del partito del leader del Cremlino, Russia Unita, cinque giorni dopo la vittoria delle elezioni presidenziali. E’ di 10 milioni di euro l’investimento di Gazprom Neft per la realizzazione del mosaico della cupola principale e di parte dell’altare e dell’area centrale del tempio. Il governo serbo e la Chiesa ortodossa serba si sono occupati del resto delle spese.

Il ruolo del virtual tour targato Gazprom Neft, scannerizzabile attraverso qr code dislocati in ogni angolo del tempio, non consiste soltanto nello spiegare in modo asettico e obiettivo le iconografie dei mosaici e la storia del luogo sacro. Prima di raggiungere la sezione dedicata all’arte si deve scrollare a lungo, attraversando spiegazioni faziose sulla fratellanza secolare tra i due paesi ed elogi alla cara Russia che, si legge, “non è rimasta in disparte”. I giovani studenti che dal novembre del 2024, in seguito al crollo di una pensilina nella stazione di Novi Sad che ha causato 16 morti, occupano le strade, le università e le emittenti televisive pubbliche, tra le tante cose lamentano pure i legami non troppo chiari con la Russia e, in parte, con la Cina, a partire dalla gestione degli appalti pubblici fino alle più ampie politiche governative. Né con la Russia né con la Nato, si legge sui muri della città, a breve distanza dal simbolo ormai iconico della mano sporca di sangue delle proteste studentesche. Neanche con l’Ue, aggiunge qualcuno, nonostante i negoziati di adesione siano stati avviati nel 2014.

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