
Il corpo della spia Eli Cohen
La diplomazia siriana con Israele segue le tracce dell'agente del Mossad impiccato a Damasco nel 1965. La promessa del regime di al Sharaa nei 2.500 oggetti riportati nello stato ebraico
L’orologio di Eli Cohen segna ancora le sei e mezza, qualche istante dopo che il regime siriano aveva fatto irruzione nel suo appartamento a Damasco per arrestarlo, poi torturarlo, infine impiccarlo. La cassa d’oro di un Omega è stata recuperata dal Mossad nel 2018, durante un’operazione dentro ai confini siriani organizzata con anni di preparazione, nel tentativo più vasto di riuscire prima o poi a riportare a casa il corpo della spia più famosa di Israele. Nell’esercito di agenti segreti attivi ovunque e indispensabili ovunque, Cohen è forse quello che è rimasto più impresso per la sua vita e per la sua morte, trasmessa in diretta. L’orologio senza cinturino fu il primo oggetto della spia a tornare a casa, gli venne sfilato durante l’arresto, per anni lo tenne un funzionario della sicurezza siriana.
Questa settimana invece in Israele sono tornati oltre 2.500 oggetti e la storia del loro viaggio è complessa, si inserisce nel contesto della costruzione di relazioni diplomatiche piene di sfiducia tra Israele e il nuovo regime siriano, guidato da Ahmed al Sharaa. L’operazione cosmetica di Sharaa, che da quando è diventato capo del paese ha smesso di farsi chiamare con il suo nome di battaglia Abu Muhammad al Julani, non ha convinto Israele. Da quando Bashar el Assad è stato costretto alla fuga, Tsahal ha intensificato la sua presenza sulle alture del Golan, ha condotto bombardamenti dentro al territorio siriano per prevenire che le armi del vecchio regime finissero nelle mani del nuovo. Per Israele nulla può ripulire al Sharaa dal suo passato jihadista: non servono gli abiti da uomo di stato, non servono i contatti con i paesi occidentali. Israele osserva e al Sharaa con ogni mossa cerca di promettere allo stato ebraico un cambiamento. Gli oggetti di Eli Cohen riconsegnati a Israele, trovati accanto al palazzo degli Assad nei primi giorni della caduta del regime, fanno parte di questa mediazione incessante.
Al Sharaa è piaciuto a Donald Trump, i due si sono incontrati la scorsa settimana a Riad e dopo la conversazione hanno scattato una foto con il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman: un’immagine impensabile che rappresenta il modello di medio oriente che il presidente americano sta cercando di sviluppare, plasmandolo secondo le esigenze di Bin Salman. Durante l’incontro Trump ha detto che le sanzioni alla Siria verranno rimosse, gli è piaciuto Sharaa, gli è piaciuta la sua impresa, la veloce cavalcata per far fallire in poco più di una settimana il regime cinquantennale degli Assad, ha apprezzato la sua proposta di entrare un giorno a far parte degli Accordi di Abramo, il sistema ambizioso di patti tra Israele e paesi arabi, nato per assicurare un medio oriente nuovo e di cui l’adesione dell’Arabia Saudita sarebbe la vera rivoluzione. Trump, sotto gli auspici di Bin Salman, ha apprezzato al Sharaa a tal punto che gli Stati Uniti non vogliono che il nuovo regime crolli e per questo spingono Israele, che ha avviato contatti segreti per accontentare Washington. Eli Cohen è il punto di partenza. La spia nata in Egitto che aveva trascorso cinque anni fingendosi un ricco uomo d’affari, amante della bella vita, grande organizzatore di festini, amico dell’élite siriana tanto da custodire ogni genere di segreto e pettegolezzo – trasmesso regolarmente al Mossad – è stata uccisa nel 1965. Il suo corpo venne lasciato penzolare per giorni nel centro di Damasco, il regime aveva fatto del cadavere di un uomo coraggioso il simbolo dell’ostilità contro Israele tanto che nei video dell’epoca si vedono i siriani ridere aditando il corpo di Cohen rivestito con un lenzuolo bianco. Una spia non lavora per l’immediato, la costruzione del suo personaggio è lunga e complessa e la preziosità delle informazioni che possiede è spesso nei dettagli. Cohen era talmente amico del regime siriano che venne portato a visitare i sistemi di difesa dell’esercito di Damasco, le batterie di missili schierate contro lo stato ebraico, venne edotto dei piani, delle aspirazioni, conosceva ogni battaglione, ogni arma e tutto quello che aveva incamerato e trasmesso tramite bollettini in codice Morse tornò utile a Israele nella Guerra dei sei giorni, quando la Siria, l’Egitto e la Giordania, sostenuti da sauditi, iracheni e libanesi, attaccarono lo stato ebraico da ogni lato – dal primo giorno l’esito della guerra sembrava così scritto che le autorità israeliane avevano ordinato di ampliare lo spazio per le sepolture. Invece Israele sopravvisse, vinse in sei giorni anche grazie alle informazioni di Eli Cohen.
Un paese ossessionato dalla memoria, da ogni oggetto del ricordo, oltre alle lettere della spia, oltre al suo orologio, ai suoi appunti, vuole il corpo di un uomo a cui deve molto. Un assistente di Hafez Assad disse che i resti di Cohen erano stati spostati talmente tante volte per paura che gli israeliani riuscissero a riportarli in patria, che ormai nessuno ricordava più dove fossero: “Nessuno sa più trovare le sue ossa, è probabile che sulla fossa senza nome siano state costruite strade”. Restituire il corpo di Eli Cohen alla sua famiglia in Israele sarebbe un gesto che potrebbe riscrivere le relazioni con la nuova Siria.