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enfasi e dubbi

Il caso Huawei e la giustizia spettacolo: in Belgio peggio che in Italia

Pietro Guastamacchia

Cinque richieste di revoca dell’immunità per cinque eurodeputati, anche per chi ha semplicemente partecipato a incontro conviviale avvenuto al di fuori del Parlamento europeo, non organizzato dalla società cinese. E fra i funzionari aumenta l'insofferenza verso le ingerenze della magistratura belga

Bruxelles. Cinque richieste di revoca dell’immunità per cinque eurodeputati, tre dei quali italiani: il “Huaweigate” muove un altro passo e nei corridoi dell’Eurocamera, alla vigilia della visita a Bruxelles di Mattarella e Tajani, si riaccende la macabra routine della caccia ai nomi, già vista durante i giorni del Qatargate, ma stavolta con meno enfasi e molti più dubbi. L’annuncio ufficiale dei cinque nomi arriverà solo questo pomeriggio in Aula, ma tre eurodeputati su cinque — il liberale bulgaro Nikola Minchev, il socialista maltese Daniel Attard e il forzista Salvatore De Meo — hanno già confermato che i loro nomi compaiono nella lista trasmessa dalle autorità belghe alla presidente del Parlamento europeo, dichiarando però la loro totale estraneità ai fatti contestati. Non sono ancora invece ufficialmente noti gli ultimi due nomi che però fonti parlamentari confermano dovrebbero essere di due eurodeputati di Forza Italia.

 

                       

 

Su uno tutti gli indizi sembrano condurre a Fulvio Martusciello, capodelegazione di Forza Italia, la cui segretaria era stata fermata dalla polizia italiana a Napoli lo scorso marzo su richiesta dei magistrati belgi, durante la prima fase delle indagini sullo stesso caso. Irritato Antonio Tajani, che questa mattina accompagnerà il presidente della Repubblica Mattarella nella sua visita all’Eurocamera, ma che dovrebbe ritagliarsi all’alba un momento con la squadra di Forza Italia per fare il punto sullo stato delle indagini e capire come gestire quella che rischia di essere una brutta batosta per la sua delegazione. La richiesta di revoca dell’immunità rappresenta infatti il primo passo necessario per aprire un’indagine nei confronti di un eurodeputato, ma non sempre si traduce in un’imputazione. Anzi, nei recenti scandali che hanno coinvolto l’Eurocamera, in molti casi non ha portato ad altro se non a numerose copertine di giornale.

Non a caso, al Parlamento europeo non solo molti deputati, ma anche diversi funzionari, iniziano a manifestare insofferenza verso quelle che considerano ingerenze della magistratura belga. E i dubbi sull’esito di queste richieste non mancano. Secondo le scarne spiegazioni diffuse dalla procura federale belga, gli eurodeputati sarebbero chiamati a rispondere della partecipazione a un aperitivo nella piazza antistante l’Eurocamera e di aver ricevuto in regalo biglietti per la poco blasonata partita di Champions League tra l’Anderlecht e il Ludogorets. “Apprendo con stupore la notizia della richiesta, da parte della procura belga, di revoca della mia immunità parlamentare. Nel mio caso, si fa riferimento a una mia partecipazione a un incontro conviviale — non organizzato da Huawei — avvenuto al di fuori del Parlamento europeo, al quale avrebbero preso parte anche rappresentanti del gruppo Huawei”, spiega Salvatore De Meo, che sottolinea di non aver “mai preso posizione a favore di Huawei, né sotto forma di firme a lettere, di presentazione di emendamenti o qualsivoglia attività legislativa”.

Tuttavia, le pressioni di Huawei sui legislatori europei non sono solo pura fantasia. Fuori dall’Eurocamera, almeno otto persone — tra cui la segretaria di Martusciello e l’allora direttore per gli affari pubblici di Huawei, l’italiano Valerio Ottati — sono state finora accusate dalla procura belga di diversi capi d’imputazione: corruzione attiva, riciclaggio di denaro e associazione a delinquere. Le accuse sono seguite a una serie di perquisizioni condotte dalla polizia in Belgio, Francia e Portogallo. Il Parlamento europeo, del resto, era già consapevole dei rischi legati a Huawei. Nel maggio 2023, infatti, la presidente del Parlamento, Roberta Metsola, ammise che il dipartimento per la sicurezza dell’Eurocamera aveva contattato le autorità belghe per acquisire informazioni “in merito alle potenziali minacce poste dalle attività di Huawei in Belgio e, in particolare, ai rischi per il Parlamento europeo”. Destò inoltre sospetti una lettera firmata da otto eurodeputati e inviata nel febbraio 2021 a tre commissari europei, in cui si chiedeva alla Commissione di evitare che le tensioni geopolitiche ostacolassero lo sviluppo del 5G in Europa, in un periodo in cui proprio Huawei cavalcava l’onda dell’innovazione nel 5G. Molte preoccupazioni ma poche prove — ed è proprio questo che spaventa l’Eurocamera. Lo confessa, strettamente off the record, un alto funzionario: “Il tema delle pressioni di Huawei è un tema grave e reale, ma se le autorità belghe mettono in croce chi si presenta a un aperitivo rischiamo di far del male al Parlamento e non capirci più nulla sul problema reale”.
 

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