i negoziati

Com'è andata la chiamata tra Putin e Trump, che stavolta si coordina con gli alleati

Micol Flammini

Il capo del Cremlino rifiuta il cessate il fuoco di trenta giorni ma convince il presidente americano della necessità di negoziare un “memorandum”. Le parole magiche del leader russo, i colloqui a cerchi concentrici e il coordinamento con Zelensky e i leader occidentali (compresa Meloni)

Dopo ogni colloquio, incontro, telefonata, la sensazione è sempre quella di essere inchiodati al punto di partenza. La telefonata tra il presidente americano Donald Trump e il capo del Cremlino Vladimir Putin è durata per oltre due ore, un tempo lungo per due capi di stato da trascorrere al telefono. Putin ha risposto alla chiamata da Sochi, nella parte occidentale della Russia, ha parlato con Trump dal centro Sirius, una scuola di varie discipline per bambini ritenuti particolarmente talentuosi. In occasione dell’importante colloquio, Putin non ha cambiato i suoi orari e i suoi appuntamenti e ha voluto che si sapesse. Dopo aver parlato con Trump, il capo del Cremlino è andato incontro ad alcuni giornalisti presenti per seguire il suo tour nell’istituto musicale, e ha rilasciato una breve dichiarazione per dire che la conversazione era stata “significativa, sincera, utile”; per ringraziare Donald Trump per il suo sforzo diplomatico che ha portato all’incontro diretto tra le due delegazioni russa e ucraina a Istanbul la scorsa settimana (“siamo sulla strada giusta”, ha detto Putin) e infine per dire che il cessate il fuoco è possibile, ma soltanto dopo il raggiungimento di alcuni compromessi. Gli ucraini e Washington vogliono che Mosca accetti una pausa dai combattimenti di trenta giorni prima di procedere a dei negoziati che possano portare a compromessi e trattati. Putin continua a invertire la rotta, a dire che prima del cessate il fuoco devono esserci degli accordi di base e ha parlato di un memorandum che porti alla pace legato però all’eliminazione delle “cause profonde della guerra”. La traduzione è semplice: vuole cinque regioni dell’Ucraina (Crimea, Zapirizhzhia, Kherson, Donetsk e Luhansk), pretende la demilitarizzazione del paese invaso. Ai giornalisti Putin ha detto che “il presidente Trump ha osservato che la Russia è a favore di una risoluzione pacifica della crisi ucraina” e nei mille ringraziamenti profusi al presidente americano ha evitato di dire se il capo della Casa Bianca, durante la conversazione telefonica, ha pronunciato la parola “sanzioni”. Per Trump la telefonata con Putin è andata “molto bene”, “il tono e lo spirito della conversazione sono stati eccellenti”. Non ha commentato l’idea del “memorandum”, che per Putin è una parola magica per dire che la guerra può andare avanti mentre si parla di pace. Non è casuale neppure l’uso della parola memorandum, che come dimostra il memorandum di Budapest del 1994  è una cornice, un  accordo per sua natura  ben poco vincolante, aggirabile, stracciabile in fretta.

L’obiettivo della telefonata doveva essere il cessate il fuoco e non è stato raggiunto, Trump si è accontentato dell’idea che Kyiv e Mosca inizieranno “immediatamente” un negoziato per il cessate il fuoco. L’eterno processo negoziale a cui Putin aspirava sin dall’inizio della presidenza di Donald Trump sta prendendo forma: Putin mostra il suo impegno, costruisce un sistema di colloqui e negoziati a cerchi concentrici, lasciando alla Casa Bianca l’illusione che i russi sono aperti al dialogo, mentre sul campo di battaglia la guerra continua.  “La Russia vuole fare grandi affari con gli Stati Uniti quando questo bagno di sangue sarà finito, io sono d’accordo”, ha scritto Trump su Truth, lasciando intendere che ancora una volta il capo del Cremlino è stato bravo a parlargli di investimenti, di soldi, di possibilità nell’Artico, la regione che i russi hanno promesso agli americani di esplorare insieme per accedere alle grandi ricchezze. Prima che il colloquio tra i due capi di stato iniziasse, il vicepresidente americano J. D. Vance aveva detto alla stampa che Trump avrebbe offerto a Putin il reintegro nel sistema economico internazionale in cambio della fine della guerra. E’ probabile che questo punto sia stato trattato davvero,  senza tuttavia che il capo della Casa Bianca menzionasse cosa potrebbe succedere se invece Mosca continua la sua guerra senza impegnarsi sul serio nei negoziati.  Per il momento l’unico obbligo concreto è arrivato da parte di Kyiv. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky si è dimostrato disposto a tutto, ha accettato l’accordo sui minerali secondo i criteri richiesti da Trump. Non si è mai visto invece l’impegno russo. L’ultima telefonata fra Trump e Putin era avvenuta a marzo, all’epoca il presidente americano aveva agito da solo e  comunque non era riuscito a convincere il capo del Cremlino ad accettare un cessate il fuoco di trenta di giorni, secondo la proposta che era stata fatta durante i colloqui in Arabia Saudita. Questa volta ha chiamato Zelensky prima e dopo la chiamata con Putin, ha riferito della telefonata agli alleati occidentali, parlando anche con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, e ha comunicato con  il Vaticano, ringraziandolo per la sua disponibilità a ospitare i negoziati. Al di là di questo coordinamento però i colloqui continuano ancora a muoversi a ritmo del Cremlino, che non soltanto detta i tempi, ma anche le parole d’ordine: radici profonde della guerra, Istanbul, rapporti economici, Artico e adesso memorandum. La telefonata era iniziata con la richiesta di un cessate il fuoco immediato. E’ terminata con Putin che ha convinto Trump della necessità di negoziati per arrivare a un cessate il fuoco. 
 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)