
ritorno al 2022
Putin cerca di truffare tutti a Istanbul
Il Cremlino manda in Turchia la stessa delegazione di tre anni fa per dimostrare che la posizione di Mosca sulla guerra non è cambiata. Lo sgarbo diplomatico non è soltanto all’Ucraina
La giornata russa in Turchia era predisposta alla perfezione già con un titolo molto scontato: ritorno al 2022. Nel 2022, proprio a Istanbul, proprio nel palazzo Dolmabahce affacciato sul Bosforo, una delegazione russa mostrò agli ucraini le condizioni per la fine della guerra. Sui fogli ammonticchiati davanti agli occhi dei funzionari di Kyiv c’erano le linee guida per la capitolazione dell’Ucraina. Molti dei funzionari russi che si presentarono a Istanbul nel 2022 sono gli stessi che sono arrivati ieri. Non è cambiato il capo delegazione: Vladimir Medinsky, ex ministro della Cultura e autore di una profonda riforma dei testi scolastici russi che è andata di pari passo con la militarizzazione di ogni apparato della società. L’altro uomo centrale della delegazione era ed è Alexander Fomin, viceministro della Difesa. Mosca allora non stava offrendo una pace, ma una resa senza condizioni, e con lo stesso spirito ha inviato ieri la delegazione a incontrare gli ucraini. Lo ha ammesso Medinsky stesso, dicendo di essere in Turchia per riprendere il processo di pace di Istanbul lì dove è stato interrotto “dalla parte ucraina tre anni fa. Il compito dei negoziati diretti è raggiungere prima o poi una pace duratura, eliminare le cause profonde del conflitto”. Tre anni fa fu sempre Medinsky a sciorinare agli ucraini le condizioni che il Cremlino imponeva: cessione dei territori occupati; controllo russo sulla politica estera e di sicurezza di Kyiv; completo disarmo; creazione di una nuova toponomastica filorussa. Mentre Medinsky era l’uomo predisposto a elencare le condizioni di Mosca, Fomin era quello che alle condizioni accompagnava le minacce: “Continueremo a uccidervi e massacrarvi” se non accetterete. Kyiv non ha accettato, Mosca ha continuato la guerra, ma oggi controlla meno territorio rispetto a quello conquistato nei primi mesi del 2022.
La delegazione ucraina ieri è arrivata ad Ankara per incontrare assieme a Volodymyr Zelensky il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Dopo un colloquio durato tre ore con il capo di stato turco, il presidente ucraino ha deciso di mandare a Istanbul una sua squadra capeggiata dal ministro della Difesa Rustem Umarov per partecipare agli incontri con i russi che inizieranno soltanto oggi. Alla fine Zelensky ha accettato di inviare la sua delegazione di alto livello a incontrarne una di livello ben più basso, che lui stesso ha definito “di scena”: una sorta di comparsa, inviata a Istanbul ad arte per dare l’idea che Mosca è pronta al dialogo. Il mandato degli ucraini è sempre stato molto chiaro: negoziare un cessate il fuoco di trenta giorni come primo passo indispensabile per qualsiasi tipo di colloquio. La posizione di Mosca invece è trascinare la fase negoziale il più a lungo possibile, per sfinire ancora di più l’Ucraina e soprattutto stancare l’alleato americano. Per Zelensky era importante che in Turchia venisse fuori l’imbroglio del Cremlino, per questo ha invitato a negoziare direttamente Vladimir Putin.
Era preparato all’assenza del capo del Cremlino: “Non è qui, non è a Istanbul, non possiamo andare in giro per il mondo a cercarlo”, ha detto alla stampa. Il problema ieri a Istanbul non era tanto che Putin non avesse accettato dei colloqui personali, ma che si fosse rifiutato di inviare figure con un forte mandato negoziale: il ministro degli Esteri Sergei Lavrov è rimasto a Mosca a insultare e deridere Zelensky assieme ad altri propagandisti, come la portavoce del suo ministero e la capa di Rt, Margarita Simonyan, per aver osato dire a Putin di trovarsi in Turchia. Il presidente americano Donald Trump ha subito perdonato Putin per la sua assenza, dicendo che “nulla accadrà fino a quando noi due non ci incontreremo” – il Cremlino ha fatto sapere che non ci sono incontri in preparazione tra i due presidenti – ma di fatto gli stati Uniti, proprio come l’Ucraina, hanno messo in campo in Turchia una delegazione di livello molto alto con la presenza del segretario di stato Marco Rubio e gli inviati speciali Keith Kellogg e Steve Witkoff. Anche Ankara ha messo a disposizione il suo ministro degli Esteri come mediatore. Con la sua delegazione “di scena”, mentre Lavrov era a Mosca a fare propaganda e Putin rimaneva in silenzio anche di fronte alle gentilezze di Trump, il Cremlino non ha solo dimostrato mancanza di rispetto, ma ancora una volta ha messo in chiaro che di pace non vuole neppure parlare. (Micol Flammini)