(foto EPA)

la sentenza

Il tribunale dell'Ue infligge un duro colpo a von der Leyen: illegittimo negare l'accesso ai documenti sul Pfizergate

David Carretta

I giudici di Lussemburgo hanno annullato la decisione della Commissione di negare l'accesso a una giornalista del New York Times agli sms scambiati dalla presidente con l'ad di Pfizer. La sentenza non ha a che fare con i vaccini, ma dice molto della mania di controllo e della centralizzazione del potere attorno a von der Leyen

Bruxelles. Il Tribunale dell'Unione europea ha inflitto un duro colpo a Ursula von der Leyen annullando la decisione della Commissione di negare l'accesso alla giornalista del New York Times, Matina Stevis, agli sms che la presidente aveva scambiato con l'amministratore delegato di Pfizer, Albert Bourla, durante i negoziati per gli acquisti di vaccini tra il 2021 e il 2022. Ma la sentenza sul Pfizergate non ha niente a che fare con i vaccini. Sul banco degli imputati c'era il modo in cui von der Leyen e la sua squadra ristretta gestiscono la Commissione.

La sentenza dei giudici di Lussemburgo è una chiara condanna della segretezza, della mancanza di trasparenza, della centralizzazione, dell'ossessione per l'immagine e la comunicazione di Ursula von der Leyen. E una vittoria per il giornalismo rigoroso. Secondo le motivazioni della sentenza, Stevis e il New York Times “hanno presentato elementi pertinenti e concordanti che descrivono l'esistenza di scambi, in particolare sotto forma di messaggi di testo, tra la presidente della Commissione e l'amministratore delegato di Pfizer”, riuscendo a superare la presunzione di inesistenza e di non possesso dei documenti richiesti”. La Commissione per contro ha fornito risposte che “si basano o su ipotesi, oppure su informazioni mutevoli o imprecise”. Secondo i giudici, “la Commissione non può limitarsi ad affermare di non essere in possesso dei documenti richiesti, ma deve fornire spiegazioni credibili che consentano al pubblico e al Tribunale di comprendere perché tali documenti siano irreperibili. La Commissione non ha spiegato in dettaglio quale tipo di ricerche avrebbe effettuato per trovare tali documenti, né l'identità dei luoghi in cui esse si sarebbero svolte. Pertanto, essa non ha fornito spiegazioni plausibili per giustificare il non possesso dei documenti richiesti. Inoltre, la Commissione non ha sufficientemente chiarito se i messaggi di testo richiesti fossero stati eliminati e, in tal caso, se l’eliminazione fosse stata effettuata volontariamente o automaticamente o se il telefono cellulare della presidente fosse stato nel frattempo sostituito”. Infine, la Commissione non ha neppure spiegato in modo plausibile perché essa avrebbe ritenuto che i messaggi di testo scambiati nell'ambito dell'acquisto di vaccini contro il Covid-19 non contenessero informazioni sostanziali o che richiedessero un monitoraggio di cui dovesse essere garantita la conservazione”. I famosi “sms” tra von der Leyen e Bourla erano stati scambiati nel periodo più delicato della pandemia, quando Stati Uniti, Unione europea, Regno Unito, Russia e Cina facevano a gara a chi avrebbe avuto più rapidamente accesso ai miliardi di dosi necessari a vaccinare l';intera popolazione contro il Covid-19. Complottisti, no-vax e anti europei lo hanno ribattezzato “Pfizergate”: un presunto scandalo, dal valore di decine di miliardi di euro, di commistione tra interessi privati e pubblici ai danni dei cittadini. Non è così. Gli acquisti congiunti dei vaccini da parte della Commissione sono uno dei grandi successi del primo mandato di Ursula von der Leyen, una scommessa politica senza precedenti e vincente.

 

Nella primavera del 2020, quando Donald Trump lanciò la corsa globale ai vaccini per uscire dai lockdown della pandemia, l'Ue non aveva né le strutture amministrative né gli strumenti giuridici per procedere allo stesso modo degli Stati Uniti. La sanità è una competenza esclusiva degli Stati membri. Gli acquisti di vaccini pure. Dietro alla decisione della Commissione di proporre gli acquisti congiunti per tutta l'Ue c'era un'mpellenza politica. Se ciascuno Stato membro fosse andato avanti da solo, quelli più ricchi o più avanzati sul piano della ricerca avrebbero avuto accesso più rapidamente alle dosi, innescando un processo di recriminazioni nazionaliste e una potenziale implosione dell'Ue.

Nell'estate del 2020 gli Stati membri hanno acconsentito di delegare alla Commissione gli acquisti, ma nell'ambito di un comitato in cui sedeva un loro rappresentante, che prendeva le decisioni all';unanimità, senza obbligo di partecipare ai singoli contratti. Il processo è stato lungo, faticoso e pieno di ostacoli e polemiche per la Commissione. E' il dicembre del 2020 il momento di svolta nella lotta contro la pandemia di Covid-19. Quel mese i primi vaccini di Pfizer vengono messi sul mercato nel Regno Unito, seguiti da quelli di Moderna e Astrazeneca. L'Ue ha già negoziato i contratti di acquisto, ma ha un ritardo rispetto a britannici e americani dovuto alle capacità di produzione delle società farmaceutiche. All'inizio del 2021 il tema diventa sempre più scottante sul piano politico. Mentre Stati Uniti e Regno Unito corrono, l'Ue è lenta e i vaccini acquistati dalla Commissione non arrivano negli Stati membri secondo il calendario previsto. I governi e le opinioni pubbliche nazionali attribuiscono la responsabilità a Bruxelles. L'amministratore delegato di Astrazeneca, Pascal Soriot, in un'intervista al quotidiano italiano la Repubblica accusa la Commissione di aver negoziato male i contratti. Secondo Soriot, non c'è alcun obbligo di consegnare il numero di dosi concordate, ma semplicemente di fare il miglior sforzo. Molto di ciò che viene scritto e detto in quei giorni contro la Commissione è falso. Astrazeneca perderà una causa intentata dalla Commissione per violazione del contratto davanti a un tribunale in Belgio. Ma con i lockdown ancora in corso il tema è esplosivo. E' in quel momento che si instaura la relazione speciale tra von der Leyen e Bourla.

 

Il 28 aprile del 2021, sul New York Times, la giornalista Matina Stevis ha raccontato (dopo aver intervistato von der Leyen e Bourla) come la presidente della Commissione si è assicurata un rapporto diretto e molte più dosi grazie al rapporto diretto e personale con l'amministratore delegato di Pfizer. Già nel gennaio del 2021 la presidente della Commissione si assicura una revisione del contratto con Pfizer per raddoppiare il numero di dosi per l'Ue. Nelle settimane successive, Bourla accetterà di accelerare le consegne dei vaccini compensando i ritardi di Astrazeneca. Von der Leyen e l'amministratore delegato di Pfizer discutono al telefono e via “sms”. La relazione speciale ha anche altre ragioni. Pfizer, a differenza di Moderna, piccola startup farmaceutica con sede negli Stati Uniti, ha importanti capacità di produzione nell'Ue e si dimostra più affidabile di Astrazeneca. Soprattutto, il vaccino contro il Covid-19 di Pfizer ha origine nella collaborazione con una società biotech tedesca, BioNTech, che ha sviluppato la tecnologia rivoluzionaria mRNA. Alla fine del 2021 l'Unione europea può dichiarare “missione compiuta”. L'80 per cento della popolazione è stata vaccinata contro il Covid-19.

Gli Stati membri dell'Ue sono stati più efficaci degli Stati Uniti e del Regno Unito, per non parlare di Cina e Russia. E' in quel momento che gli “sms” di von der Leyen con Bourla si trasformano nel “Pfizergate”. La presidente della Commissione ha negoziato in segreto con l'amministratore delegato di Pfizer? Cosa si nasconde dietro? Quali interessi personali ha la presidente della Commissione o il marito? Frédéric Baldan, un lobbista belga no vax, ha presentato una denuncia davanti alla magistratura belga contro von der Leyen, accusandola di abuso di potere, distruzione di documenti pubblici, perseguimento di interessi illeciti e corruzione, e di danneggiamento delle finanze pubbliche del Belgio. La macchina della propaganda e della disinformazione dei partiti estremisti si è messa in moto.

 

Attorno al “PfizerGate” sono emerse sui social media, sui siti complottisti ma anche al Parlamento europeo e nei parlamenti nazionali le teorie più assurde, che la Commissione non è riuscita a frenare, preferendo mantenere il segreto sugli “sms”. La prima richiesta di accesso ai documenti sugli “sms” del “PfizerGate” risale al luglio del 2021, ad opera di Alexander Fanta, giornalista del sito netzpolitik.org. Ed è stata subito rifiutata dalla Commissione che si è giustificata con il fatto di non aver trovato i documenti. Nel settembre dello stesso anno l'Ombudsman europeo (il difensore civico), Emily O'Reilly, aveva avviato un'inchiesta per cattiva amministrazione. Essendosi scontrata al costante rifiuto di cooperare, nel luglio del 2022 O'Reilly ha chiuso l'inchiesta con una dura critica alla Commissione. Matina Stevis del New York Times si è vista rifiutare l'accesso agli “sms” nel novembre del 2022. Lei e il giornale americano hanno così deciso di ricorrere al Tribunale dell'Ue per annullare la decisione della Commissione. La linea di difesa di von der Leyen era fragile e reggeva a un filo giuridico molto sottile.

 

La Commissione non ha mai ammesso l'esistenza degli “sms”, né la loro eventuale distruzione. Le regole interne prevedono di conservare e registrare solo i documenti importanti che non siano di breve durata. Ma, secondo la Commissione, gli “sms” con Bourla non sono importanti e dunque non devono essere considerati come documenti. “Abbiamo la conferma che una ricerca approfondita è stata effettuata e nessun documento è stato trovato”, ha detto una fonte della Commissione prima della sentenza. Chi ha effettuato la ricerca e stabilito se gli “sms” sono importanti? Non il servizio giuridico o il segretariato generale. Con ogni probabilità è stato il capo- gabinetto della stessa von der Leyen, Bjorn Seibert. “Nella cerchia attorno alla persona che ha generato (gli “sms”) ci sono persone con sufficiente responsabilità per valutare l'importanza dell'informazione e il rispetto con gli standard”, ha confermato al Foglio la fonte della Commissione. La Commissione può presentare ricorso contro la sentenza. “Ursula von der Leyen non concederà l’accesso agli sms con Bourla. La Commissione ha annunciato che adotterà una nuova decisione con una spiegazione più dettagliata”, ha fatto sapere un portavoce della presidente. 

Ma il giudizio sul modo in cui von der Leyen e la sua squadra operano è netto. Mania per il controllo assoluto, centralizzazione in un gruppo ristretto di persone, segretezza della comunicazione, mancanza di trasparenza, mai ammettere un errore o uno sbaglio per non rovinare l'immagine della presidente. Nel caso degli “sms” con Bourla, von der Leyen e i suoi consiglieri si sono arrogati il diritto di decidere se si tratta di documenti rilevanti, diventando così giudici di sé stessi. Di fronte a giornalisti rigorosi – Matina Stevis, che ora dirige l'ufficio del New York Times in Canada – la trasparenza e la verità dovrebbero essere il modo migliore di rispondere per la presidente di un'stituzione che si dice attaccata alla democrazia. Invece con il Pfizergate Ursula von der Leyen ha offerto a illiberali e anti-democratici un pretesto per demonizzare l'Ue.

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