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L'attesa
Dalla Casa Bianca a Istanbul. La strategia di Zelensky
La suspense di Putin è l’ultimo atto dell’illusione di pace. Gli ultimi 76 giorni del presidente ucraino, da quando Washington ha preso le distanze da Kyiv per la prima volta in tre anni di guerra
S’è aspettato fino all’ultimo che Vladimir Putin decidesse se presentarsi a Istanbul dove lo ha invitato Volodymyr Zelensky, anche il presidente americano, Donald Trump, in visita in Qatar nel suo sontuoso tour mediorientale, ha ripetuto di non avere certezze, se vado io forse alla fine Putin viene, magari non oggi, forse domani, vediamo. Il presidente russo insulta, dice che le sanzioni occidentali sono da deficienti, si dimena nel suo immutato desiderio di andare avanti con la guerra all’Ucraina accampando oscene scuse, mobilita le truppe per un’offensiva estiva, usa il tempo che gli è stato clamorosamente concesso dall’Amministrazione Trump per alimentare l’illusione che la pace sia più vicina. Va così da 76 giorni, da quando, il 28 febbraio scorso, c’è stato l’incontro tra Zelensky e Trump nello Studio ovale e Washington, per la prima volta in tre anni di guerra, ha preso le distanze da Kyiv.
Tutto è cambiato, quel giorno, per l’Ucraina, che oltre ad aver assistito in diretta all’umiliazione del proprio presidente, s’è ritrovata senza la certezza del sostegno militare e d’intelligence degli Stati Uniti, senza le armi da difesa necessarie per respingere i continui (in aumento) attacchi aerei dei russi, costretta a rivedere la sua strategia, quella complessiva e quella quotidiana, le città colpite, Kyiv colpita, il tempo misurato in morti e danni. Soprattutto ha dovuto combattere, l’Ucraina, contro l’idea di essere l’ostacolo alla pace, mentre Trump riduceva tutta la questione in termini territoriali e di ritorno economico. Quel 28 febbraio è stato sconvolgente non tanto e non solo per la brutalità dell’imboscata trumpiana a Zelensky, ma perché da quel momento la grande difesa delle democrazie dall’aggressione russa – esplicita, teorizzata, più volte dichiarata – è stata svuotata dei suoi valori ed è diventata una “brutta cosa” da risolvere in fretta, in qualsiasi modo, basta che l’America di Trump possa dire: ho portato la pace. Il presidente americano ha più volte detto di voler essere un mediatore neutro, ha smesso di definire la Russia il paese aggressore, si è ritrovato nei consessi internazionali ad astenersi o a non votare tutto ciò che conteneva questo semplice, e incontrovertibile, principio di causa ed effetto: Putin ha attaccato senza motivo l’Ucraina, può smettere la guerra quando vuole (ma non vuole), mentre l’Ucraina, se smette di difendersi, scompare.
Questo ribaltamento è andato di pari passo con l’illusione di un accordo di pace sempre più vicino, è lì, basta saperlo prendere, nonostante Mosca non abbia mai dato alcun segnale in questo senso. Nessuno. Non ha accettato i cessate il fuoco via via proposti, non ha fermato i bombardamenti sull’Ucraina, non ha modificato le proprie condizioni per un eventuale negoziato, non ha mostrato alcuna volontà di seppur piccolo compromesso, si è soltanto goduta uno spettacolo insperato, come le visite dell’inviato americano Steve Witkoff, mediatore non soltanto neutro ma pure inesperto, talmente soggiogato dall’arte manipolatoria russa da accettare persino incontri senza un interprete dell’ambasciata americana. Parte sostanziale di questo spettacolo insperato è stata anche la pressione che l’Amministrazione Trump ha messo sull’Ucraina e in particolare su Zelensky, considerato il meno gestibile, il meno accondiscendente, il meno propenso alla pace, oltre che, naturalmente, l’alleato dell’America che fu, quella di Joe Biden, quella da smantellare, denigrare, rovesciare.
Zelensky, che impara in fretta e ha una capacità di reazione e di adattamento invero straordinaria, ha cambiato strategia e dopo aver passato tre anni a convincere gli americani che l’Ucraina avrebbe potuto vincere la guerra, è passato a dover convincere Trump di non essere lui l’ostacolo alla pace che il presidente americano pretende. 76 giorni fa, Zelensky aveva capito a sue (altissime) spese che dire al presidente americano: stai sbagliando, per quanto vero, non è efficace. Per questo ha evitato ogni confronto diretto, ha persino detto di voler comprare le armi americane finora fornite in modo solidale dagli Stati Uniti, ha portato avanti l’accordo sullo sfruttamento dei minerali ucraini come unica garanzia di sicurezza ottenibile, ha accettato tutte le proposte di cessate il fuoco, e ha infine proposto l’impensabile, cioè un incontro diretto con Vladimir Putin, l’uomo che ha sventrato l’Ucraina e che non riconosce nemmeno l’esistenza dell’identità ucraina.
Ed è qui che ci troviamo oggi, ad aspettare istruzioni da Putin sul suo viaggio a Istanbul, già vittime della solita manipolazione russa, ora aggravata da quella trumpiana, perché quel che conta è la presenza del presidente russo, non quello che ha da dire.