Scegliere l'Europa

Paola Peduzzi

Le idee europee per dare rifugio ai talenti in fuga (da Trump) e l’idea di un faro per ricercatori e studenti. Così l’Ue si fa un centro d’attrazione, riprendendo in mano le “chiavi della libertà”   

Wim Wenders è andato nella scuola di Reims, in Francia, dove è stata fatta la storia – e la libertà – dell’Europa: alle 2.41 della mattina del 7 maggio 1945, i militari tedeschi firmarono qui la loro resa davanti agli alleati, e la Seconda guerra mondiale finì (i sovietici chiesero che fosse ripetuta la resa anche a Berlino, cosa che accadde l’8 maggio). In “The Keys to Freedom”, il film di cinque minuti che Wenders ha girato in quello che oggi è il liceo Franklin Roosevelt ma allora era il centro di comando del generale americano Eisenhower, si vede la stanza con le enormi mappe dell’Europa su cui si segnavano gli avanzamenti e le ritirate dei soldati, e il tavolo della firma. Quando gli alleati se ne andarono, Eisenhower restituì le chiavi al sindaco di Reims e disse, ricorda il regista tedesco nel suo minidocumentario: “‘Queste sono le chiavi per la libertà del mondo’. Mi hanno molto colpito quelle chiavi, anche se oggi sono soltanto delle chiavi in un piccolo museo” in una scuola di cui pochi conoscono la storia. 


Le chiavi per la libertà sono il simbolo del progetto europeo, del percorso fatto in ottant’anni e di quello che c’è da fare oggi che è tornata la guerra sul continente e che l’alleanza salvifica con l’America traballa, anzi sembra pronta a crollare. I leader dell’Ue ripetono di voler essere il “faro della libertà” e lo intendono in senso globale: vale per i paesi che ambiscono a entrare nell’Ue ma vale anche per la libera circolazione delle idee, dei cervelli, dei talenti. E naturalmente c’è la competizione con l’America di Donald Trump che, in nome della sua battaglia culturale contro l’illiberalismo della sinistra, sta deformando la storica e insuperata capacità degli atenei e dei centri di ricerca americani di attirare studenti e ricercato da tutto il mondo. “Abbiamo lanciato il programma ‘Safe Place for Science’ all’inizio di marzo”, dice al Foglio Eric Berton, rettore dell’Università Aix-Marseille.


 “E’ la nostra risposta agli appelli di molti ricercatori che vengono licenziati in America o ostacolati nel loro lavoro. Vogliamo essere un faro di speranza per loro, in nome dell’Europa della conoscenza”.  L’idea del faro torna anche nelle parole di questo rettore che è stato tra i primi a reagire alla guerra culturale trumpiana: l’Europa vuole essere un rifugio, una luce, cioè quel che per ottant’anni (e più) è stata l’America per gli europei. “I ricercatori americani sono ora limitati nella loro libertà di ricerca da parte dell’Amministrazione Trump – dice Berton – Alcuni perdono il lavoro, altri si vedono sottrarre i fondi. Quel che mi sembra più preoccupante in queste decisioni politiche è che la ricerca scientifica viene trattata come se fosse l’espressione di un’opinione scientifica di ogni singolo ricercatore. Ma la scienza non si fonda sulle opinioni, si fonda sui fatti che si riescono a provare scientificamente. Per questo il nostro obiettivo è quello di permettere ai ricercatori di continuare a fare il loro lavoro in un’università che promuove la libertà di ricerca e l’eccellenza scientifica”. Aix Marseille partecipa a un programma internazionale di attrattività con un’iniziativa per l’eccellenza che si chiama Amidex: riceve 26 milioni di euro ogni anno. Di questi, ne ha stanziati 15 per tre anni (5 ogni anno) per ospitare ricercatori americani e l’università vuole anche chiedere il sostegno dello stato all’interno del programma “Choose France for Science”.


Lunedì questo progetto è diventato “Choose Europe”, quando la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen,  è andata a Parigi e, assieme a Emmanuel Macron, ha detto: “In questo momento molti mettono in discussione il ruolo della scienza e anche la ricerca libera e aperta. Che errore di calcolo gigantesco”. Così, alla Sorbona, sono stati annunciati 500 milioni di euro tra ora e il 2027 per “Choose Europe for Science”, un centro di attrattività per ricercatori e scienziati di tutto il mondo. L’iniziativa è stata accolta con qualche malumore (antifrancese)  in Italia, ma s’inserisce all’interno di un piano più grande dell’Ue per potenziare il potenziale enorme dell’idea di “scegliere l’Europa”. L’European Research Council ha raddoppiato (2 milioni di euro) i fondi che offre ai ricercatori per trasferirsi nell’Ue a lavorare, mentre dodici paesi europei (l’Italia non c’è) stanno lavorando insieme per offrire visti rapidi e borse di studio all’interno del programma Horizon Europe.


Sono anche previsti rimborsi per i trasferimenti in modo da attirare (o richiamare) gli studiosi che ora sono negli Stati Uniti. In una lettera alla commissaria per la Ricerca e l’Innovazione Ekaterina Zaharieva, questi paesi hanno chiesto di agire con urgenza per individuare gli ambiti di ricerca più sotto pressione in America e per creare un “ecosistema d’innovazione europea” integrato e competitivo. L’Amministrazione Trump non viene mai citata esplicitamente nei documenti europei, anche perché alcune iniziative sono state concepite prima che il presidente americano si insediasse alla Casa Bianca e avevano come obiettivo il mondo accademico e della ricerca cinese. Lo ha ancora, naturalmente, ma adesso si è aperto per così dire anche il mercato americano. “Tutte le iniziative di questo tipo, e spero che ce ne siano tante, sono le benvenute”, dice il rettore Berton, che è molto esplicito nei suoi riferimenti a Trump ma non riesce a immaginare che ci possano essere delle resistenze tra i paesi europei. “L’Università Aix Marseille – continua – è stata la prima, ma non dobbiamo fermarci qui. Quando la libertà scientifica e di ricerca sono minacciate dall’orientamento politico di un governo, l’Europa deve essere il posto in cui trovare accoglienza. Per questo sto anche chiedendo la creazione di uno status di rifugiato scientifico”. Torna l’idea del faro, del rifugio, che forse è il filo rosso che permette di raccontare gli ottant’anni dalla sconfitta del nazismo e del fascismo e tutta la strada fatta insieme dall’occidente democratico. “Le università europee devono essere la risposta a tutte le politiche anti scientifiche che stanno emergendo”, conclude il rettore, rilanciando l’ambizione di un’Europa unita nella conoscenza e libera. In un’intervista al New York Times, Wim Wenders ha detto che la visita nel liceo di Reims “mi ha fatto prendere ancora più consapevolezza di quanto la libertà sia importante: anche io nella mia vita l’ho data per scontata e in quella piccola stanza ho capito quanto sia fragile”. Le chiavi della libertà ora sono nelle mani europee: che occasione, che responsabilità”.
 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi