
medio oriente
Come togliere i soldi a Hamas
Israele cerca una soluzione da Trump per la gestione degli aiuti dentro la Striscia. Il viaggio in medio oriente del capo della Casa Bianca e i tre sgarbi a Netanyahu
Il mese scorso il Wall Street Journal aveva raccolto dati molto precisi su una crisi che stava rendendo Hamas meno capace di arruolare nuovi uomini nel gruppo. L’articolo si intitolava: “Hamas è impoverito, è a corto di denaro e non riesce a pagare i combattenti”. Dopo la tregua conclusa tra Israele e i terroristi a febbraio, i numeri di Hamas avevano ricominciato a crescere, nonostante Tsahal fosse riuscito a eliminare diversi combattenti, inclusi alcuni leader del gruppo. I nuovi combattenti che si sono aggiunti a Hamas dal cessate il fuoco in poi, non sono addestrati come i precedenti, sono molto più giovani e spesso sono ragazzi che accettano di combattere per ragioni economiche personali o per tutelare le loro famiglie.
Lo stipendio medio di un combattente di Hamas è di circa duecento dollari al mese, ma da alcune settimane, Gaza è a corto di contanti. Israele ha capito che per limitare le attività del gruppo deve colpire la fonte della sua popolarità che non sempre è ideologica, molto più spesso è economica. Quindi ha iniziato a prendere di mira le figure chiave per la distribuzione del denaro. Il risultato è stato immediato, tanto che anche i leader del gruppo si sono ritrovati con delle entrate dimezzate. Rimane però una fonte aperta e importante per Hamas e sono gli aiuti umanitari, che il gruppo rivende, anziché distribuire gratuitamente come indicano le grandi scritte su tutti i pacchi: not for sale, non in vendita. Israele ha bloccato gli aiuti umanitari, la popolazione è allo stremo secondo le associazioni sul campo. Lo stato ebraico ha proposto un piano per la distribuzione in modo che non sia coinvolto Hamas. L’espansione dell’operazione militare nella Striscia avrebbe anche l’obiettivo di creare delle zone in cui effettuare la distribuzione. Secondo il piano di Israele, in accordo con il Cogat, l’unità che coordina l’ingresso degli aiuti, alcuni abitanti di Gaza dovrebbero raggiungere le zone umanitarie selezionate, in cui verrebbero fatti convergere tutti i camion con gli aiuti, e poi occuparsi della distribuzione. Il piano è molto rischioso per i palestinesi che verrebbero incaricati di compiere questi viaggi, la Striscia rimane una zona di guerra, e gli assalti di Hamas per prendere possesso degli aiuti non sono da escludere. Nessuna associazione umanitaria ha accettato di prendere parte al piano. Anche molti funzionari israeliani sono scettici sulla riuscita, ma in Israele, ormai diviso su tutto, c’è un grande consenso sul fatto che privare Hamas della possibilità di sfruttare l’ingresso di acqua, cibo e medicinali è fondamentale se si vuole lo sradicamento del gruppo e per annullare la capacità di trovare nuovi combattenti.
Il problema della distribuzione degli aiuti è centrale, Israele non è mai stato in grado di aggirarlo, Tsahal non vuole occuparsene per non finire impantanato e vorrebbe che invece fosse uno dei primi punti del coinvolgimento di paesi stranieri dentro alla Striscia. I paesi arabi però al momento restano in disparte, nessuno ha fatto sapere di essere pronto a intervenire nella Striscia, di farsi carico della ricostruzione e prima ancora della creazione di zone umanitarie. Israele spera che siano gli Stati Uniti a convincere l’Arabia Saudita, gli Emirati e altri attori a intervenire e il viaggio in medio oriente di Donald Trump che inizierà la prossima settimana sarà fondamentale per capire cosa sono disposti a fare i paesi arabi per cambiare il futuro di Gaza e se vedono lo sradicamento di Hamas come essenziale.
Trump visiterà l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e il Qatar. Ultimamente le relazioni tra Israele e il presidente americano non sono state trasparenti, ma il premier Benjamin Netanyahu continua a considerare Trump il miglior alleato. Da quando il nuovo presidente si è insediato nella Casa Bianca ci sono stati almeno tre sgarbi americani a Israele: il primo quando l’inviato speciale per gli ostaggi Adam Boehler aveva trattato direttamente con Hamas senza informare Israele; il secondo quando Trump ha annunciato colloqui diretti con l’Iran e, secondo il Washington Post, ha licenziato Mike Waltz dalla sua posizione di consigliere per la sicurezza nazionale perché sosteneva l’idea israeliana di un attacco ai siti nucleari di Teheran; il terzo si è consumato proprio in questi giorni, quando il capo della Casa Bianca ha annunciato di aver raggiunto un accordo con gli houthi. Le autorità israeliane però continuano a pensare che valga la pena fidarsi degli Stati Uniti e il Jerusalem Post ieri aveva un resoconto interessante sulla possibilità di instaurare un’amministrazione guidata dagli Stati Uniti per governare la transizione dentro alla Striscia ed escludere Hamas dalla vita di Gaza. Le cinque fonti che hanno parlato con il Jerusalem Post però hanno ammesso che non ci sono date precise.