Foto ANSA

L'editoriale dell'elefantino

Shakespeare in Trump

Giuliano Ferrara

Con il presidente americano tutto è o sembra affidato alle performance di teatro. Le analisi dei politologi Ivan Krastev e Robert Kaplan e le illusioni del presente 

Finiremo con il tessere l’elogio dell’imprevedibilità di Trump, dopo aver dannato i suoi tradimenti geopolitici, le sue sregolatezze caotiche nell’amministrazione, la sua guerra su cento fronti in contemporanea, i suoi rimpatri forzati alla garibaldina, il suo assalto alla giustizia e ai media liberi sfidati sul campo, la sua apparente risolutezza nel cercare di svellere, sradicare, infangare quella gloria americana (con molte riserve a partire dalla corrività con la recente ondata antisemita) che sono la ricerca e le Università della Ivy League? Fino ad oggi abbiamo rivalutato la lentezza, l’estrema complessità e meticolosità, e addirittura l’elefantiasi burocratica dei sistemi europei di governo mercatista dell’Unione europea, li abbiamo considerati come l’antimodello e l’antidoto al casino non organizzato che la prima e la seconda (sopra tutto questa) presidenza Trump ha avvolto nei fumi retorici del messianesimo dell’età dell’oro.

Ma ora i politologi Ivan Krastev e Robert Kaplan discutono del trumpismo in base alla differenza tra la politica letta sulle mappe, tutta ordine e geometria dei rapporti di forza, e la politica letta nelle pagine di Shakespeare, tutta emozioni, cattiverie, destini e personalità. Spostarla su questo piano, va riconosciuto, è un omaggio implicito alla facies politica dell’Impostore, dell’Immobiliarista divenuto con le sue trovate e i suoi modi farlocchi capo assoluto della più grande potenza mondiale. 

Il caso dell’accordo con Zelensky sui minerali ucraini ha qualcosa di sulfureo, in senso non chimico ma psicologico. Siamo passati dall’effetto estorsione puro e semplice, avallato dal famoso scazzottamento nello Studio Ovale, all’ipotesi di un capolavoro combinato, in parte da Zelensky in parte dall’uomo che tentò di umiliarlo: connettere affaristicamente gli Stati Uniti alla guerra europea, scambiare quattrini e fondi internazionali di investimento con un meccanismo progressivo di coinvolgimento americano nella tutela dell’interesse ucraino a difendersi, mettendo di lato la diffidenza isolazionista e MAGA verso qualunque atto competitivo che non riguardi la Cina di Xi.

Fa un certo dispiacere leggere ora le sofisticate analisi realpolitiche dei grandi esperti, che hanno condiviso fino a ieri con noi il disgusto per l’approccio transactional alla politica mondiale, e che ora devono star lì a cercare di capire, capitolato per capitolato, le sfumature politiche di un accordo commerciale decisivo per il destino degli aggrediti, pare. Così pure per il comportamento instabile e elusivo dei mercati, per la flessibilità nella politica daziaria e incendiaria, per i rapporti con le autorità monetarie su inflazione e dollaro, così per i conlitti con Beijing, tutto è o sembra affidato all’istintualità, al sensazionalismo, alle performance di teatro che sostituiscono la banalità del reale in un gioco continuo di illusioni che partoriscono illusioni. Alla fine dei conti sembra difficile che questa chimera in contanti che è il trumpismo sopravviva senza danni, a sé e agli altri, ma l’expertise di mezzo mondo è condannata, tra mappe e Shakespeare, a vivere ancora momenti tremendi di irsuta, acuta incomprensione e difficoltà di presa sul fenomeno.
          

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.