
(foto EPA)
c'è un rettore
L'antisemitismo a Harvard c'è, vanno prese le misure necessarie. Non tocca a Trump farlo
Quel che l'ateneo americano non ha fatto contro le derive d'odio e l’equivoco sulle accuse del presidente
“L’anno accademico 2023-24 è stato deludente e doloroso”, ha scritto il rettore di Harvard, Alan Garber, commentando i due report pubblicati martedì, centinaia di pagine che mostrano, il primo, quanto l’antisemitismo abbia deformato la vita e lo studio nell’ateneo più ricco e famoso del mondo e, il secondo, l’alienazione degli studenti musulmani. Più che deludente si potrebbe dire che è stato un anno disastroso, seguito all’assalto degli ebrei nei kibbutz del 7 ottobre 2023, nel sud di Israele. “Sono molto dispiaciuto – continua Garber – per non aver soddisfatto le aspettative che giustamente ci sono nei nostri confronti”, ma “Harvard non può tollerare il fanatismo, e non lo farà”. Il rettore elenca poi una serie di misure che l’ateneo dovrà prendere e in parte sono molto simili alle richieste che ha fatto l’Amministrazione Trump.
Harvard ha appena citato in giudizio il governo che ha sospeso parte dei fondi pubblici destinati all’ateneo (per la ricerca) e ha chiesto di togliere le esenzioni fiscali di cui gode Harvard. Il tribunale è l’ultimo approdo – così comune in questi mesi di secondo mandato di Trump – di una contesa che è iniziata con una serie di richieste da parte dell’Amministrazione che, in sostanza, prevedevano che il governo potesse valutare le domande di iscrizione degli studenti e i piani di studi dei docenti. Harvard, a differenza di altre università, ha detto che queste scelte spettano all’ateneo e non allo stato e così Trump ha sospeso i fondi pubblici. Poiché la motivazione ufficiale del governo è la lotta all’antisemitismo e poiché Garber, di fronte a questi report poderosi ha detto di voler mettere mano all’organizzazione dell’ateneo con misure simili a quelle richieste dal governo, ieri i commentatori conservatori dicevano, anzi urlavano: ha ragione Donald Trump!
Che a Harvard ci siano stati casi di antisemitismo e che la direzione antecedente a quella di Garber non sia riuscita a governarli è chiaro e noto da tempo: l’ex rettrice Claudine Gay si è dimessa, dopo soltanto sei mesi dalla nomina, dopo audizioni disastrose al Congresso e una riluttanza eccessiva a intervenire con misure disciplinari. Le trecento pagine di report presentano moltissime testimonianze, i racconti della paura di andare a lezione o di girare per il campus, le urla dei pro Pal per una nuova intifada: li abbiamo visti e sentiti nei video, messi tutti insieme fanno orrore (i report non sono delle inchieste, non era questo il loro scopo: i fatti sono raccontati dai testimoni, senza verifiche e controlli ulteriori). Alan Garber che è stato nominato dopo le dimissioni di Gay (e che è ebreo: ha detto di conoscere bene il disagio di non sentirsi al sicuro in quanto ebreo) ha imposto misure disciplinari agli studenti violenti, ha rivisto i testi e i corsi nel dipartimento di Studi mediorientali, ha rimosso alcuni docenti. Ora dice che non è abbastanza – è stato molto contestato naturalmente – e che è necessario fare di più, ma il punto, nella contesa con il governo di Trump è proprio questo: spetta al rettore di Harvard non al presidente degli Stati Uniti combattere i fanatismi dentro al campus. L’Amministrazione Trump ha, come ha scritto il Wall Street Journal, giornale conservatore che ha fatto una grande campagna contro l’antisemitismo e le derive illiberali dentro i campus, “prima sparato per investigare in un secondo momento”, cioè è partita dal presupposto che Harvard stesse violando delle leggi (come quella contro le quote) e vuole avere accesso ai dati sulle ammissioni, sui risultati scolastici, sui docenti. L’ateneo, come altri, ha bisogno di riforme, ma non è l’Amministrazione che può portarle avanti: quando chiede che sia rispettata “una diversità di punti di vista”, non dà alcuna definizione. “Forse Harvard deve chiedere a chi fa richiesta di ammissione se sostengono Trump?”, chiede il Wall Street Journal. E cosa si fa poi, si introducono delle quote per i sostenitori del presidente? Il problema delle guerre culturali come le intendono i trumpiani è questo: si rischia di sostituire estremismo a estremismo, senza sconfiggerne nessuno davvero.