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Il ritorno
Perché Bennet ora piace a destra e a sinistra. Solo lui può battere Bibi
Esplicitamente di destra per quanto riguarda la politica estera, l'ex primo ministro di Israele si è sempre presentato come culturalmente e religiosamente progressista. E oggi rappresenta una possibile alternativa a Netanyahu
Tel Aviv. Nonostante il recente intervento chirurgico a causa di un improvviso arresto cardiaco, approfittando delle celebrazioni per il Giorno della Memoria della Shoah, l’ex primo ministro Naftali Bennett ha dichiarato di aver già riacquistato le forze necessarie per quella campagna elettorale che, di fatto, è iniziata ben prima del 1° aprile, giorno in cui è stato ufficialmente fondato il partito dal nome – per ora provvisorio – “Bennett 2026”.
Già il 7 Ottobre 2023 l’ex premier non ha esitato un istante e prima ancora di ricevere il “richiamo” ufficiale da parte dell’esercito si è recato immediatamente nei kibbutz presi d’assalto da Hamas. E, da allora, grazie anche ad una campagna internazionale in difesa degli ostaggi (ancora oggi 59 sono prigionieri a Gaza, di cui 35 dichiarati morti) è diventato la speranza – da destra a sinistra – per una possibile alternativa all’attuale premier Benjamin Netanyahu. In attesa della prossima tornata elettorale, prevista per ottobre 2026, salvo un – al momento improbabile – crollo del governo, che potrebbe portare ad elezioni anticipate. Se la chiamata alle urne fosse oggi, stando agli ultimi sondaggi pubblicati otterrebbe 29 seggi, rivaleggiando direttamente con il Likud di Netanyahu, e conquistando una maggioranza di 57 seggi (contro i 53 del premier in carica) su 120. 10 seggi risulterebbero assegnati alle liste arabe che, normalmente, non prendono mai parte dell’esecutivo, salvo nel corso di quell’anno – tra il 2021 e il 2022 – in cui proprio Bennett era riuscito a costituire il primo “governo del cambiamento” nella storia di Israele. Alcuni membri del suo partito lo lasciarono, si erano sentiti traditi da un alleanza che vivevano come una forzatura e che aveva finito per deludere anche gran parte dei suoi ex elettori.
Come commenta al Foglio Shmuel Rosner – senior analist presso the Jewish People Policy Institute – l’elettorato che opterà per Bennett al prossimo giro sarà completamente diverso: uno spettro che copre dalla destra alla sinistra, dai laici ai religiosi. Chi sceglierà di votarlo lo farà soprattutto per due ragioni: “Eliminare Netanyahu dai giochi e garantire a Israele la stabilità di cui ha bisogno, specie in un momento storico e con una società – quella israeliana – così complessa, e che Bennett ben rappresenta, essendosi presentato in questi ultimi 19 mesi come l’uomo in grado di parlare con tutti: dai kibbutnikim agli ultraortodossi, mettendo sempre al centro l’unità e la difesa del paese. Pur essendo un politico esplicitamente di destra per quanto riguarda la politica estera – continua Rosner – Bennett si è sempre presentato come culturalmente e religiosamente progressista, disposto al dialogo con tutte le diverse frange della società israeliana, inclusi gli arabi”.
Il contrario del dividi et impera con cui l’attuale premier si è garantito l’ascesa politica negli ultimi 16 anni. Dopo oltre un anno e mezzo di guerra, aggiunge Ilana Shpaizman, senior lecturer in Political Studies presso la Bar Ilan University, gli israeliani hanno bisogno di sentirsi uniti. Tanto che, stando ai sondaggi, i voti per i partiti estremisti – come Otzma Yehudit, guidato da Itamar Ben Gvir – rimangono confermati solo nelle periferie. Mentre il centro sia geografico sia politico del paese è incuriosito da Bennett anche per la sua lunga esperienza di ceo nell’high-tech, e lo vede come l’unico leader in grado di prendere in mano le redini di un paese provato da un conflitto ancora in corso: pronto a rimboccarsi le maniche e guardare avanti, come la startup nation è sempre riuscita a fare, fin dalla sua fondazione.
Secondo entrambi gli analisti una delle più grandi sfide per Bennett sarà quella di costruire una lista che sia in grado di rappresentare tutta la diversità dei potenziali elettori: “Per ora l’unico candidato che conosciamo è lui – continua Shpaizman - A determinare il successo di questa partita saranno i futuri candidati del suo partito e, ancora più importante, quelli degli altri, di cui ancora non conosciamo i nomi”. E, soprattutto, se e come si alleeranno i partiti, considerando l’errore cruciale commesso dai troppi movimenti che si erano presentati sparpagliati alle scorse elezioni, non superando la soglia di sbarramento. La mancata volontà di unirsi contribuì a consegnare la vittoria a Netanyahu, nonostante la maggior parte degli israeliani avessero votato contro di lui. “Per assurdo, questa volta – conclude Rosner – se i voti di alcuni likudnikim (elettori del Likud) ormai delusi si spostassero verso questo nuovo partito e quindi Netanyahu fosse costretto a dimettersi, Bennett potrebbe addirittura costituire un’alleanza con il Likud, ma senza il loro leader indiscusso: scenario, per quanto improbabile, non affatto impossibile. Specie in medio oriente, dove ostilità e alleanze mutano di ora in ora”.