foto Getty

il paese (ancora meno) sicuro

Tripoli caccia le ong europee e italiane. Un avvertimento sui migranti

Luca Gambardella

In Libia si apre la guerra alle organizzazioni umanitarie colpevoli di "attività ostili". Dabaiba sotto pressione e i piani di Trabelsi

Il Servizio di sicurezza interna libico ha chiuso gli uffici di una decina di ong straniere accusate di minacciare la sicurezza nazionale e di riciclare denaro favorendo l’immigrazione clandestina nel paese per conto dell’Europa. Tra le organizzazioni interessate ci sono le filiali italiane di Cesvi, Terres des Hommes, Intersos, Acted e poi l’International Medical Corps, il Danish Refugee Council, il Norwegian Refugee Council e Medici Senza Frontiere. Molte di queste collaborano a progetti finanziati dall’Unhcr. Contro l’agenzia dell’Onu per i rifugiati sono state annunciate altre misure restrittive, che però non dovrebbero portare a un allontanamento dal paese come nel caso delle ong. Il Servizio di sicurezza interno risponde al governo di Tripoli guidato dal premier Abdelhamid Dabaiba ed è comandato da Lotfi al Harari, a sua volta accusato da diverse ong di gravi violazioni dei diritti umani – omicidi, rapimenti, torture – a partire dal 2011. 

 

   

Il comunicato stampa diffuso dalle autorità di Tripoli è molto duro nei confronti delle organizzazioni umanitarie e accusa  l’Ue e l’Italia di essere i registi di un progetto di reinsediamento dei migranti dai paesi terzi alla Libia. Non a caso, tutte le ong interessante dal provvedimento di espulsione sono europee. “L’Ue ha fatto ricorso a un metodo pericoloso per realizzare questo progetto sotto le pretese di progetti di sviluppo dello stato libico, utilizzando le ong come strumento esecutivo”. Riversare migranti di nazionalità africana in Libia, dichiara il servizio di sicurezza, “rappresenta un’attività ostile per la stessa demografia libica, creando una società ibrida”.

 

 

Nelle settimane scorse, diversi dipendenti di queste ong erano stati convocati dalle autorità libiche e costretti con la forza a interrompere ogni collaborazione lavorativa con queste, anche sequestrando il passaporto. Il 27 marzo, 17 ambasciatori europei avevano inviato una lettera di protesta al governo libico stigmatizzando questo genere di intimidazioni. Minacce che hanno riguardato anche i lavoratori del settore sanitario libico. Agenti dei servizi di sicurezza hanno interrogato e sottoposto a indagini i direttori di diversi ospedali di Tripoli, molti dei quali collaborano con le ong e i migranti.

Non è chiaro chi sia dietro alla mossa di espellere le ong da Tripoli e di alimentare un clima di paura nei confronti dei migranti. Il maggiore indiziato è però il ministro dell’Interno Emad Trabelsi, l’uomo dell’Italia in Libia nel controllo dei flussi migratori. A comprovare le responsabilità di Trabelsi c’è il fatto che la chiusura delle ong era una mossa già ventilata da settimane dal ministero libico ai servizi diplomatici europei. Il mese scorso a Tripoli si erano svolte delle manifestazioni contro Dabaiba e la sua politica migratoria, considerata troppo asservita all’Ue. Dall’inizio dell’anno, la Guardia costiera libica ha intercettato quasi 5 mila migranti, un dato al di sotto delle aspettative rispetto alle 22 mila intercettazioni dell’intero 2024. 

L’immigrazione è diventata un mezzo per mettere pressione a Dabaiba. “Il premier è tra due fuochi – spiega una fonte libica al Foglio – da una parte c’è l’Ue che gli chiede di tenersi i migranti, dall’altra ci sono i libici che invece non li vogliono”. Ora la chiusura degli uffici delle ong sarebbe un messaggio duplice inviato da Dabaiba: “Uno è per l’opposizione interna, per dimostrare che la Libia non è un suddito dell’Europa. Un altro è invece per l’Ue, perché il governo vuole più soldi per tenersi i migranti”. La logica estorsiva di Tripoli nei confronti dell’Ue è una costante da anni.  “Il mese scorso Trabelsi ha ribadito che vogliono aumentare le deportazioni dei migranti in Libia e ha chiesto ai paesi dell’Ue di contribuire ai costi di queste operazioni”, dice al Foglio Claudia Gazzini dell’International Crisis Group. Ma oltre al tentativo di batter cassa, la mano dura dei libici arriva a ridosso dell’attivismo della Corte penale internazionale nei riguardi di diversi capi milizia libici, accusati di gravi violazioni del diritto internazionale. “Molti a Tripoli hanno paura di finire nella lista dei ricercati come è successo per Osama Njeem Almasri. E’ un avvertimento per dire: fermatevi”, dice una fonte libica che preferisce restare anonima per motivi di sicurezza. 

 

 

La guerra  alle ong in Libia è simile a quella condotta in Tunisia da Kais Saied e  mette in difficoltà l’Europa, già al centro di critiche per i respingimenti dei migranti verso la Libia, un paese non sicuro per il diritto internazionale. Con un tempismo interessante mercoledì, mentre Tripoli accusava Europa e Italia di destabilizzare il paese, a Roma il Comitato congiunto per la cooperazione allo sviluppo, riunito alla Farnesina alla presenza dei ministri Antonio Tajani e Matteo Piantedosi, ha approvato aiuti per 20 milioni di euro per Libia, Tunisia e Algeria per incoraggiare i rimpatri volontari dei migranti africani. 

Di più su questi argomenti:
  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.