Pechino

I punti immagine che guadagna Xi Jinping dal caos di Trump

Giulia Pompili

Il leader cinese siede sul fiume e aspetta. Il caos della Casa Bianca non fa che avvicinare tutti alla Cina

 La prima cosa che devono aver registrato i funzionari del Partito comunista cinese dopo l’annuncio dei dazi a tappeto del presidente  Trump è che l’America ha imposto una tassa del 32 per cento sulle merci provenienti da Taiwan. Il mercato taiwanese è già riconosciuto come indipendente da quello della Cina da quasi tutto il mondo occidentale, e Trump ha escluso dalle misure diversi prodotti tra cui i semiconduttori, quindi l’impatto sull’economia dell’isola dovrebbe essere limitato. Ma ieri il presidente Lai Ching-te è stato costretto a definire i dazi americani “incomprensibili” – per un paese la cui sicurezza economica dipende da Washington – e gli argomenti dell’opposizione, che spinge per una riapertura al dialogo con Pechino, si fanno più  convincenti.

 

 

L’altro ieri Trump ha annunciato dazi definiti “reciproci” del 34 per cento contro la Cina, ai quali si sommano quelli già esistenti del 20 per cento su tutte le importazioni cinesi negli Stati Uniti. Un’azienda cinese che esporta  in America dovrà quindi pagare il 54 per cento di tasse doganali. Ma lo faranno anche le aziende americane che producono in Cina nel caso in cui non trovassero un accordo diretto con Trump, come aveva fatto, per esempio, Apple nel 2018.  Ieri  il ministero del Commercio di Pechino ha fatto sapere che “la Cina si oppone fermamente e prenderà  delle contromisure per salvaguardare i propri diritti e interessi”, e a dimostrazione che non si tratta soltanto di commercio,  anche il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Guo Jiakun, ha ribadito che prenderà “contromisure”. Non è chiaro però a quale tipo di misure Pechino stia pensando. Di sicuro, il leader cinese Xi Jinping sta tirando per le lunghe un eventuale vertice tra i capi delle prime due economie del mondo, vertice che invece Trump avrebbe voluto tenere “in tempi brevi”.  

 


La cautela cinese serve alla leadership di Pechino a capire quale sarà l’offerta americana, e se ci sarà davvero qualcosa di concreto da offrire, ha scritto la scorsa settimana Keith Bradsher sul New York Times. Ma più passa il tempo e più la Cina può capitalizzare il caos creato da Trump aumentando la sua influenza. Secondo una parte degli analisti internazionali, al di là dello choc iniziale in un’economia che già sta attraversando una crisi interna profonda, sul medio e lungo periodo i dazi di Trump potrebbero essere un regalo alla Cina, che  da tempo  prepara il terreno per mostrarsi come la potenza alternativa responsabile, che ha a cuore l’ordine internazionale “con caratteristiche cinesi” e le regole di mercato. E Taiwan potrebbe non essere l’unica a guardare verso Pechino – nonostante le minacce di  unificazione che arrivano costantemente dalla leadership cinese. Trump ha colpito gli alleati americani dell’Asia, tra cui il Vietnam (46 per cento di dazi), dove c’è una grossa porzione produttiva delle aziende americane, la Thailandia (37 per cento), e poi Corea del sud e Giappone (rispettivamente 25 e 24 per cento di dazi). Il lavoro di costruzione di un’alleanza nell’Indo-Pacifico fatto dalla precedente Amministrazione Biden è stato in gran parte cancellato domenica scorsa, quando i rispettivi ministri del Commercio di Cina, Giappone e Corea del sud, in un vertice a Seul che non si teneva da almeno cinque anni si sono accordati per rafforzare e accelerare i legami di libero scambio tra loro, nel tentativo di contrastare i dazi americani. E poi c’è l’Europa: ci sono segnali che mostrano come la Commissione europea sia in cerca di un sostegno nell’Indo-Pacifico dall’India di Narendra Modi. Secondo Philippe Le Corre del Center for China Analysis il rapporto della Cina con Bruxelles si è definitivamente incrinato dopo la guerra in Ucraina e il sostegno – neanche troppo velato – della Cina alla Russia, e mentre Nuova Delhi non ha avuto finora sufficiente attrattiva per il business europeo, potrebbe essere cruciale negli anni a venire anche nel bilanciamento delle relazioni commerciali tra Ue e Cina. Basterebbe, come ha ripetuto più volte la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, rafforzare le misure di sicurezza, cioè fare de-risking, questa volta sul serio, e diversificare i propri partner commerciali. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.