Le forze di sicurezza di Jaramana, in una foto successiva all'attacco al checkpoint (foto Getty) 

attacco a jaramana

Israele minaccia la guerra in Siria, che è sempre più divisa

Luca Gambardella

"Se il governo terrorista di Damasco minaccia i drusi, noi minacciamo il governo terrorista". Fra lealisti di Assad, settarismo e teorie del complotto, per Sharaa scongiurare un nuovo conflitto è sempre più difficile

L’attacco a un checkpoint della polizia a Jaramana, periferia di Damasco, è solo l’ultimo segnale che l’idea di creare una nuova Siria unita e pacificata rischia di rimanere tale. Sabato, un gruppo di uomini armati, sospettati di essere lealisti del regime assadista, ha assaltato un posto di blocco delle forze di sicurezza uccidendo tre persone. L’episodio ha innescato le proteste degli abitanti della cittadina a maggioranza drusa e cristiana, che chiedono al governo protezione per le minoranze religiose. L’episodio ha subito preso la piega della provocazione su base settaria, questione diventata l’incubo del presidente siriano Ahmad Sharaa, consapevole che in un paese fragile e impoverito come la Siria basti poco per dissolvere l’entusiasmo generato dalla caduta del regime degli Assad. L’attacco di sabato ne è la prova, perché poco dopo gli israeliani hanno minacciato un intervento armato contro il governo siriano, nel caso in cui la sicurezza dei drusi sia messa in pericolo. “Non tollereremo che un regime islamista e terrorista minacci i drusi – ha fatto sapere lo stato ebraico con un comunicato ufficiale – Se il regime minaccia i drusi, sarà minacciato da noi”. Con una mediazione condotta dal loro leader spirituale, l’influente sceicco Hikmat al Hijri, la rabbia tra i drusi di Jaramana sembra essere rientrata, ma la confusione  nel sud della Siria non fa che indebolire le nuove autorità di Damasco. Torna allora in auge la teoria dei complotti, che da sempre ha presa facile nel paese. Walid Joumblatt, storico leader druso libanese, ha detto che “i siriani liberi devono stare in allerta contro le macchinazioni degli israeliani”, che a suo dire sarebbero responsabili di “un complotto per sabotare” la Siria. Joumblatt, noto oppositore del vecchio regime di Bashar el Assad, ha annunciato un’imminente visita a Sharaa per testimoniare la solidarietà della minoranza drusa, il 3 per cento della popolazione siriana, al governo di Damasco. 

Nonostante il leader libanese sia molto influente, la crisi  nel sud della Siria non è destinata a ricomporsi in breve tempo. Se i drusi di Suwayda si dicono disponibili al dialogo con il governo islamista – in cambio di autonomia nella gestione della sicurezza – a ridosso del Golan, tra Daraa e Quneitra, la situazione è ancora più composita. Alcuni notabili locali, compresi leader religiosi, sono dell’idea che Israele sia una minaccia mentre altri preferiscono l’Idf alle milizie islamiste di Hayat Tahrir al Sham (Hts) del presidente Sharaa. Da mesi, Tsahal conduce bombardamenti mirati contro depositi di armi e altre postazioni militari spingendosi a ridosso di Damasco. Le incursioni di terra fra i villaggi attorno a Quneitra sono sempre più frequenti: i militari entrano in territorio siriano, occupano porzioni di territorio, lo bonificano e poi tornano indietro. L’obiettivo dichiarato dall’Idf è quello di creare una zona cuscinetto demilitarizzata nel sud della Siria. Alla stregua dei curdi a nord, i drusi sono considerati dagli israeliani una testa di ponte da sfruttare per influenzare la Siria post assadista, anche grazie ai legami di parentela tra i drusi siriani e quelli che vivono e lavorano nel Golan occupato. 

Stretti fra Israele e la Siria, alcuni leader locali drusi hanno assunto posizioni ambigue. E’ successo alcuni giorni fa, quando un gruppo di vecchi militari del regime assadista che avevano defezionato unendosi alle rivolte contro il regime ha creato un Consiglio militare di Suwayda. L’intenzione del consiglio è poco chiara: il loro leader, il colonnello Tariq al Shoufi, dice di volere garantire la sicurezza nel sud e che il gruppo, di ispirazione secolarista e democratica, intende unirsi a un unico grande esercito siriano. Molti però non credono alle sue rassicurazioni e vedono nascosti tra le file dei suoi uomini i fantasmi dei lealisti di Assad, con l’intento di destabilizzare il paese. La bandiera scelta dal gruppo rimanda a messaggi che di unitario hanno ben poco. Il vessillo ricalca quello delle Forze democratiche siriane dei curdi: una mappa della Siria con la linea di demarcazione dell’Eufrate ben evidenziata a indicare la separazione netta tra il nord-est curdo e il resto del paese, mentre la stella drusa colorata campeggia sulla provincia di Suwayda.

 

Mentre Sharaa ha nominato domenica un gruppo di sette esperti con il compito di redigere il testo di una Costituzione transitoria, la tenuta unitaria della Siria latita anche per l’atteggiamento intransigente dell’Amministrazione Trump. Venerdì il segretario di stato Marco Rubio ha detto che quella di Sharaa è “una forza destabilizzante” e “non è uno sviluppo positivo”. La settimana scorsa, fonti anonime hanno detto a Reuters che il premier israeliano Benjamin Netanyahu starebbe persuadendo gli americani a mantenere la Siria “debole e frammentata”. Pur di non gettare il paese in mano ai turchi, sponsor di Hamas e del governo islamista di Sharaa, lo stato ebraico starebbe spingendo affinché Donald Trump permetta ai russi di preservare le proprie basi militari tra Latakia e Tartus per bilanciare l’influenza di Recep Tayyip Erdogan. Sharaa ha detto più volte che non vuole – e probabilmente non si augura – una guerra contro Israele, ma resta da capire quali carte sia in grado di giocare per scongiurarla.

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.