Foto LaPresse

Al telefono con Putin

Sei mesi di sabotaggi di Orbán e la lite con Zelensky

Il leader magiaro ha promosso la sua politica, accontentato le sue amicizie illiberali, messo in imbarazzo Bruxelles ogni volta che gli si è presentata la possibilità. Il presidente ucraino: “Nessuno dovrebbe promuovere la propria immagine a spese dell’unità"

Ieri mattina, il premier ungherese Viktor Orbán ha chiamato il capo del Cremlino Vladimir Putin. I due sono stati al telefono per un’ora ed è stato l’ungherese a riportare su X la durata della conversazione, scrivendo: “Stiamo adottando ogni possibile misura diplomatica per sostenere un cessate il fuoco”. Per sei mesi, ormai in scadenza, Orbán ha preso una serie di iniziative diplomatiche azzardate ben sapendo di non rappresentare soltanto l’Ungheria, ma anche l’Ue visto che il suo paese è a capo del semestre che si sta chiudendo. Orbán è andato a stringere le mani di Putin e Xi Jinping, è andato a Tbilisi a congratularsi con il partito di governo dopo le elezioni  nonostante le accuse di brogli, e l’Ue ha dovuto sempre prendere le distanze.

 

Ieri il presidente ucraino Zelensky ha criticato l’iniziativa di Orbán di intrattenersi al telefono con Putin e ha scritto su X: “Ci auguriamo che non chiami Assad a Mosca per ascoltare anche lui e le sue lezioni lunghe un’ora”. E ha riassunto i sei mesi di presidenza ungherese: “Nessuno dovrebbe promuovere la propria immagine a spese dell’unità (…) non si può discutere della guerra che la Russia conduce contro l’Ucraina senza l’Ucraina”. Infine Zelensky ha ringraziato Trump: Orbán era di ritorno da una visita a Mar-a-Lago. Il premier ungherese ha risposto accusando Zelensky di opporsi a un cessate il fuoco di Natale e a uno scambio di prigionieri. Sono stati sei mesi di sabotaggi ungheresi dentro l’Ue, Orbán ha usato il semestre per promuovere la sua politica, accontentare le sue amicizie illiberali, mettere in imbarazzo Bruxelles ogni volta che gli si è presentata la possibilità. Questo scambio con Zelensky è uno degli atti conclusivi in cui ancora una volta Orbán ha promosso l’agenda di Putin, ha detto che è l’Ucraina a rifiutare la pace, ben sapendo che per fermare la guerra basta l’ordine di un solo uomo, che non vive a Kyiv, ma a Mosca, al Cremlino.