
medio oriente
La rete di spie iraniana in America aspetta ancora la sua vendetta per Soleimani
L’uomo che forse voleva far fuori Trump, gli altri tentativi e l’inviato speciale Malley ancora sospeso
Roma. Asif Merchant, nato a Karachi, in Pakistan, con moglie e figli in Iran e un’altra famiglia nel suo paese d’origine, era arrivato a New York da un paio di mesi quando ha incontrato il suo contatto, all’inizio di giugno. Gli ha mimato, facendo il gesto della pistola con l’indice e il pollice della mano, un omicidio. Ha spiegato che il suo piano era articolato, e non si trattava soltanto di un assassinio, c’erano anche documenti da rubare, una non meglio specificata protesta da organizzare. L’obiettivo principale, ha detto Merchant al suo contatto, era lì negli Stati Uniti, “una figura politica” che avrebbe avuto parecchia sicurezza attorno. La squadra di sicari disposta a lavorare per lui avrebbe dovuto procedere con l’eliminazione dell’obiettivo soltanto quando lui avrebbe lasciato gli Stati Uniti.
La finestra temporale era stata piuttosto precisa: tra la fine di agosto e l’inizio di settembre. Merchant nel frattempo sarebbe tornato dalle persone per cui lavorava, anche loro non specificate. Il pachistano non poteva sapere che il suo contatto era in realtà un informatore dell’Fbi, e che la squadra di sicari che ha incontrato alla fine di giugno, poche settimane dopo il gesto della pistola e la prima conversazione, era composta da agenti dell’Fbi sotto copertura.
Asif Merchant è stato incriminato ieri dalla corte federale di Brooklyn per tentato omicidio su commissione, nell’ambito di un piano per assassinare una figura politica o istituzionale di alto profilo del governo americano sul territorio americano. E’ stato arrestato il 12 luglio scorso, mentre tentava di lasciare il paese, soltanto due giorni prima dell’attentato all’ex presidente americano Donald Trump compiuto a Butler dal ventenne Thomas Matthew Crooks, che però non avrebbe nulla a che fare con la rete di Asif Merchant nonostante pochi giorni prima l’intelligence americana avesse aumentato la sicurezza di Trump proprio in relazione alle notizie di una minaccia da parte dell’Iran.
E l’uomo pachistano con una seconda vita in Iran, secondo quanto comunicato ieri dal procuratore generale del dipartimento di Giustizia Merrick Garland, avrebbe lavorato proprio per conto della leadership iraniana: “Per anni, il dipartimento di Giustizia ha lavorato in modo aggressivo per contrastare gli sforzi sfacciati e implacabili dell’Iran di ritorsione contro funzionari pubblici americani per l’uccisione del generale iraniano Qassem Soleimani”, ha detto Garland. Ma “il dipartimento di Giustizia non risparmierà alcuna risorsa per distruggere e ritenere responsabili coloro che cercheranno di portare a termine complotti letali dell’Iran contro i cittadini americani”.
Dopo l’uccisione del generale, considerato in Iran un martire della resistenza, ordinata dall’allora presidente Trump il 3 gennaio del 2020 ed eseguita con un drone vicino all’aeroporto di Baghdad, la risposta di Teheran era arrivata quattro giorni dopo, con 22 missili balistici lanciati su due basi americane in Iraq. L’Iran aveva definito quella la risposta non solo legittima, ma anche “conclusiva”, ma in realtà da tempo la rete di spie iraniane sul territorio americano si è mobilitata per vendicare l’eliminazione del generale delle forze Quds.
Nel frattempo, l’Fbi è ancora alla ricerca di Shahram Poursafi, membro delle Guardie rivoluzionarie iraniane incriminato esattamente due anni fa con l’accusa di aver reclutato una persona online per uccidere l’allora consigliere per la Sicurezza nazionale di Trump, John Bolton, in cambio di 300 mila dollari. Sebbene il caso Poursafi e, forse ancora di più quello Merchant, potrebbero sembrare una minaccia un po’ goffa, e facilmente individuabile dal sistema di sicurezza americano, non è così. Ieri diversi analisti sottolineavano come per ogni Merchant che viene beccato ce ne sono decine che non cadono nelle trappole degli agenti o degli informatori. E soprattutto che l’intelligence iraniana – specialmente in un momento di crisi come questo – sa costruire schemi ben più difficili da individuare. Da più di un anno Robert Malley, inviato speciale della Casa Bianca per l’Iran, è stato messo in congedo con il nulla osta di sicurezza sospeso, ma non erano mai stati divulgati dettagli sulle motivazioni. La scorsa settimana due repubblicani hanno inviato una lettera al segretario di stato Antony Blinken nel quale emergono alcune informazioni – riportate da Josh Rogin sul Washington Post: grazie all’abilità di hackeraggio, gli iraniani avrebbero avuto accesso ai dispositivi personali di Malley, ascoltando tutto, e leggendo tutto quello che leggeva lui, anche i documenti top secret.