I rischi

La guerra totale in medio oriente è questione di millimetri

Micol Flammini

Iran e Hezbollah studiano "la formula giusta" per colpire ma senza provocare la reazione dura di Israele. L'errore può essere minimo e come non sbagliare i calcoli è il grande dilemma

Il problema sta nel calcolo e attorno agli errori gira tutto il dilemma dell’Iran e di Hezbollah e della loro promessa di vendetta per l’uccisione del comandante delle milizie sciite in Libano, Fuad Shukr, e del capo di Hamas a Teheran, Ismail Haniyeh. Dopo aver urlato, promesso “sangue”, dichiarato di non aver paura di una guerra che investa tutto il medio oriente, la Repubblica islamica e il suo miglior alleato autoprodotto – Hezbollah è armato e finanziato da Teheran – sono di fronte alla consapevolezza che basta un errore e un’esagerazione minima per provocare una risposta di Israele che non sia soltanto dimostrativa. Ad aprile, quando l’Iran lanciò droni e missili contro lo stato ebraico, venne fermato dalle difese di Israele e da una coalizione ben rodata di forze americane, francesi, britanniche e dall’assistenza di alcuni paesi arabi.  Israele poi rispose con un attacco dimostrativo nella provincia iraniana in cui si trova il sito nucleare di Natanz. Questa volta, però, alle minacce di guerra totale dell’Iran, lo stato ebraico ha detto di voler reagire in modo altrettanto forte e l’Iran ha solo un modo per evitarlo: non esagerare. Il professor Uzi Rabi del Dayan Center ritiene che sia questa la difficoltà di Teheran e di Hezbollah di trovare “la formula giusta per colpire Israele”. Bisogna evitare errori, togliere tutti quei calcoli sbagliati che metterebbero il medio oriente davvero in stato di guerra totale. Gli errori non si possono sempre prevedere, e la storia è piena di sviste, di millimetri sfuggiti che poi hanno creato conflitti sempre più grandi. L’Iran vuole l’immagine, non la guerra ed è al punto di dover contenere se stesso, nella consapevolezza, non detta, che  la fine del conflitto anche a Gaza, per l’Iran, per Hezbollah e anche per Hamas, in questo momento è la maggior garanzia di preservare il potere. “Teheran ha capito che se dal suo attacco si genererà una guerra regionale, Israele reagirà come ha reagito contro Hamas, quindi ha più interesse che la situazione si calmi, non che esploda. Non può dare a Israele motivi per rispondere a un grande attacco con vittime civili”, dice al Foglio Harel Chorev, professore dell’Università di Tel Aviv. “Se Tsahal non viene  fermato  – spiega  Chorev – riuscirà a distruggere Hamas e l’Iran sa chi è il prossimo della lista: Hezbollah. Se la Repubblica islamica perde le sue milizie, perde il controllo su un lato di Israele e trascina il Libano in una guerra distruttiva”. Devono sopravvivere tutti e per sopravvivere non possono sbagliare i calcoli. “In questi giorni gli iraniani hanno visto che la stessa coalizione che si era creata in aprile per difendere Israele si è compattata di nuovo, conoscono la tecnologia di difesa di Israele che agisce su tre livelli e sanno che gode dell’aiuto dei sistemi degli alleati. Lo schema è capillare e Teheran è consapevole di camminare lungo una linea molto sottile, sbagliare è facile”. Un danno grande non può essere lasciato impunito, a Teheran potrebbe andare bene limitarsi a concludere questo botta e risposta con un’immagine che mostri la potenza delle forze iraniane: la foto delle linee rosse che vengono fatte saltare, ma senza effetti sul campo. 


Israele ha dimostrato di poter arrivare dove vuole dentro al territorio iraniano, di poter colpire arsenali, pasdaran, leader alleati nei palazzi centrali di Teheran, la lista in mano allo stato ebraico degli obiettivi da prendere di mira dentro alla Repubblica islamica è probabilmente molto più lunga. L’Iran cerca quindi di portare avanti il suo potere, di salvare i suoi alleati e di impedire che anche Hamas scompaia del tutto dentro alla Striscia di Gaza. Ora che Yahya Sinwar è diventato il capo dell’ufficio politico di Hamas, oltre a esserne il leader militare, il gruppo di Gaza ha mandato un messaggio di debolezza: i leader sono rimasti in pochi, la struttura tentacolare di Hamas è diventata piramidale, è un gruppo meno protetto di prima, più fragile, non vale più la legge della coda di lucertola. Hamas era strutturato in modo che se un capo veniva eliminato,  la leadership si ricostituiva all’istante, come una coda di lucertola. Il messaggio che arriva con Sinwar è che tutto è diventato  verticale. Senza Sinwar, di Hamas rimane ben poco. Senza Hamas a Gaza, l’Iran rimane senza un fronte. 
 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)