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negli stati uniti

Ruspe sulla città invisibile che ispirò Bukowski e John Fante

Marco Bardazzi

Arriva la riqualifica di Skid Row, il quartiere delle tende di Los Angeles. Resta da capire dove andranno i senzatetto

Era il luogo dove un tempo finiva l’America. E’ diventato il luogo dove finiscono centinaia di vite, nell’indifferenza collettiva. Skid Row è la capitale degli homeless degli Stati Uniti, un quartiere di invisibili a due passi dai grattacieli di Los Angeles, devastato decennio dopo decennio da ondate successive di disgrazie: alcol, prostituzione, eroina, Aids, cocaina, crack e oggi il micidiale Fentanyl che arriva dal Messico. Un inferno che ha ispirato romanzi di Charles Bukowski e John Fante, serie televisive come “Starsky e Hutch”, un celebre concerto degli U2, ma non ha mai trovato soluzioni ai suoi drammi. Almeno fino a ora.

La storia più che centenaria di Skid Row potrebbe essere a un punto di svolta. La città di Los Angeles e il governatore della California, Gavin Newsom, stavolta sembrano pronti a far sparire un luogo che dagli anni Trenta del secolo scorso è una vergogna per l’America, ma che è stato sempre tollerato perché faceva comodo avere questa sorta di “discarica” di umanità abbandonata da tutti. Sono pronti grandi progetti immobiliari che a breve potrebbero portare le ruspe in Skid Row, a partire dalla realizzazione del complesso “Fourth & Central”, trentamila metri quadrati destinati a nuove abitazioni, uffici e negozi per un investimento complessivo di due miliardi di dollari. Nel giro di cinque anni, nel quartiere dovrebbero sparire gran parte dei vecchi alberghi trasformati in dormitori e sorgere grandi condomini per residenti a basso reddito. 
Ma resta una gigantesca incognita su cosa accadrà alle oltre cinquemila persone che popolano in pianta stabile le sue strade, vivendo accampate in tende o in abitazioni di fortuna e passando le giornate a trovare il modo di comprare la dose di Fentanyl quotidiana. Magari quella definitiva che li ucciderà. Più che un quartiere, Skid Row è una piccola città nel cuore della metropoli californiana, incistata nella Downtown di Los Angeles in mezzo a luoghi ad alto reddito come il Fashion District, l’Arts District, Little Tokyo e il distretto finanziario con i suoi grattacieli. Tutte realtà dove l’aspettativa di vita media è in linea con quella del resto degli Stati Uniti, 78 anni, mentre nei cinquanta isolati di Skid Row precipita a soli 48 anni. Basta attraversare una strada, che sia Main Street o Third Street, la Settima o Alameda, e si entra in un altro mondo: dall’America che ha tutto a quella che non ha niente. 

L’avventura di Skid Row era cominciata alla fine del Diciannovesimo secolo, come capolinea dell’epopea dei pionieri. Chi andava alla conquista del West partiva in treno dagli stati dell’Atlantico o dal Midwest, attraversava mezzo paese e finiva a Los Angeles in quella che è ricordata come la Old Train Station, la stazione oltre la quale non si andava. Perché più avanti c’era solo l’Oceano Pacifico. Cercatori d’oro, agricoltori, truffatori, aspiranti imprenditori: un’umanità variopinta e spesso disperata approdava alla stazione in cerca di fortuna. Molti di loro non facevano che pochi passi prima di incappare in qualche guaio, in uno tra i tanti saloon, case da gioco e case di prostituzione che erano sorti in quel luogo dove finiva l’America.
Il quartiere divenne noto come Skid Row giocando su un termine dello slang dei taglialegna, che descrive chi vive in modo precario, senza soldi e senza niente da fare. Negli anni Trenta del secolo scorso, quelli della Depressione seguita al crollo di Wall Street del 1929, è qui che si accampavano i tanti che migravano dal Midwest sognando una California che non poteva dare lavoro a tutti. Fino a quando avevano qualche soldo, ad attrarli verso Skid Row erano una moltitudine di alberghetti a ore e a basso costo che erano spuntati in tutta la zona, raccogliendo gli scarti del Cecil Hotel, l’albergo più celebre del quartiere che era stato inaugurato negli anni Venti con grandi ambizioni, mai realizzate. Quando poi i soldi finivano, si ricorreva a tende in strada e accampamenti di fortuna. 

Una situazione tollerata per decenni dalle autorità pubbliche e poi, dagli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, addirittura incoraggiata. Varie inchieste del Los Angeles Times hanno ripercorso quell’epoca per dimostrare come amministratori pubblici e forze di polizia abbiano scelto per Skid Row un destino di containment. In pratica, era meglio “contenere” e concentrare i poveracci in quella zona, perché se fossero stati cacciati avrebbero invaso le aree vicine, quelle del business e dei quartieri residenziali. Furono creati bagni pubblici con lo scopo di attrarre gli homeless in quella parte della metropoli e prese forma una rete di sostegno pubblico ai piccoli alberghi locali noti come single-room occupancy (Sro), camerette a basso costo con gabinetti condivisi che sono diventate la residenza di migliaia di persone. 
Tutto intorno, nei quartieri confinanti, si faceva di tutto per tenere lontani i disperati e contenerli nel quadrilatero di Skid Row: lucchetti ai bidoni della spazzatura, luci accecanti in strada, continuo pattugliamento della polizia. Negli anni Ottanta, secondo varie inchieste giornalistiche, le cose peggiorarono ancora quando alcuni istituti per malati di mente presero l’abitudine di trasportare e abbandonare a Skid Row i loro pazienti peggiori. 

Con il passare del tempo, a parte qualche sporadica retata della polizia che non cambiava niente, a Skid Row si sono succedute ondate di problemi legati alla tossicodipendenza dominante in quel momento. Lo scambio di siringhe degli anni del boom di eroina portò l’Aids. L’epoca della cocaina che riempiva le case degli attori della vicina Hollywood, qui si trasformava in un mercato di sottoprodotti da pochi dollari, dal crack fino alle colle da sniffare. Poi sono arrivati gli oppioidi e ora il micidiale Fentanyl. 
A prendersi cura della variopinta umanità di Skid Row sono state le missioni cattoliche e le organizzazioni non profit, soprattutto Skid Row Housing Trust e Aids Healthcare Foundation. Ma anche quest’ultime adesso sono in crisi economica e non riescono più a tenere in piedi la rete di Sro su cui si basa la vita del quartiere.  
Se mai Skid Row ha avuto qualcosa di romantico, è sparito anche quello. Qualche anno fa ha chiuso dopo un secolo il King Eddy Saloon, il bar dove Charles Bukowski aveva un tavolo d’angolo dove riceveva gli amici e cercava storie da raccontare sul ventre di Los Angeles. Il King Eddy era anche il locale che John Fante aveva scelto come ispirazione per costruire il bar immaginario dove negli anni Trenta si muoveva Arturo Bandini, il suo alter ego letterario che Bukowski adorava. 
Alla fine del 2021 era stato riaperto il Cecil Hotel, ma adesso è di nuovo fallito. L’albergo degli anni Venti è un po’ il simbolo della perenne mancata rinascita di Skid Row. Era nato come hotel per l’alta società, ma ben presto era diventato un covo di serial killer (diversi assassini seriali, per qualche motivo, nel corso degli anni hanno avuto camere al Cecil Hotel) e un protagonista di casi di cronaca nera, al punto da meritare una puntata di una popolare serie Netflix dedicata ai criminali americani.
A fianco del Cecil sopravvive, in attesa di demolizione, un edificio che un tempo ospitava un negozio di liquori e che per un breve momento, nel 1987, era sembrato a sua volta un luogo di speranza di rinascita. Nel marzo di quell’anno gli U2 erano sbarcati in America per la tournée di lancio dell’album “The Joshua Tree” e avevano scelto il tetto dell’edificio come luogo dove girare il video di un brano che avrebbe avuto un successo planetario, “Where the Streets Have No Name”. Gli stadi dove erano attesi Bono e compagni erano già da tempo esauriti e la band decise che avrebbe trasformato le riprese del video in un improvvisato concerto gratuito di apertura del tour. Quando si sparse la voce che gli U2 si sarebbero esibiti all’aperto a Skid Row, si radunò una folla in festa di un migliaio di persone. La musica fu sparata a tutto volume verso la strada giù in basso, in un evidente tributo al celebre concerto dei Beatles nel 1969 sul tetto di Savile Row. 
Visto però che tra la Skid Row californiana e la Savile Row londinese c’è una certa differenza, la polizia locale prese malissimo l’iniziativa della band irlandese. Era successo anche nel 1969 con i Beatles, ma in quel caso la preoccupazione era che si creassero ingorghi e venisse disturbata la quiete pubblica. A Los Angeles si temeva invece che la folla potesse diventare pericolosa, in un quartiere che è sempre stato considerato una pentola a pressione dove tenere il coperchio ben chiuso. Gli agenti tollerarono per un po’ l’assembramento, limitandosi a chiamare volanti di rinforzo, ma quando videro arrivare troppa gente costrinsero gli U2 a interrompere il concerto e smontare l’attrezzatura. Eppure l’atmosfera era di festa, come raccontano i video dell’epoca: a Skid Row le autorità locali possono chiudere un occhio sugli scambi di droga, ma a quanto pare non sulla gente che balla. 

Negli ultimi anni ogni iniziativa di bonifica del quartiere si è scontrata con varie resistenze. Le autorità cittadine hanno sempre preferito trovare modalità per finanziare le non profit che gestiscono gli Sro. I giudici sono intervenuti più volte a bloccare progetti immobiliari o iniziative delle forze di polizia. Ora l’aria pare essere cambiata. Il City Council di Los Angeles si appresta ad approvare il progetto da due miliardi per il primo intervento edilizio da decenni, che gode dell’appoggio del governatore Newsom. “Per troppi decenni – ha detto l’astro nascente dei democratici, che sogna di candidarsi alla Casa Bianca dopo che sarà finita l’epoca di Joe Biden – abbiamo lasciato che la burocrazia bloccasse interventi residenziali critici, e le conseguenze sono quelle che ciascuno di noi può vedere in quelle strade. Adesso abbiamo deciso di usare tutte le leggi sulle infrastrutture che abbiamo in California per costruire in fretta nuove abitazioni”. 
L’idea è quella di cambiare completamente l’atmosfera che regna in quel pezzo di Downtown, portare ristoranti e creare posti di lavoro, insieme ad abitazioni che non siano più quelle degli alberghetti a ore, ma grattacieli residenziali per persone a basso reddito, che rischiano comunque di essere inaccessibili per il popolo delle tende che oggi riempie le strade di Skid Row. E’ una sfida che Los Angeles condivide con molte metropoli americane. Anche New York e Washington sono piene di senzatetto e lo sono diventate ancora di più dopo gli anni del Covid, ma a differenza di L.A. non hanno quartieri di accampamenti paragonabili a Skid Row e devono fare i conti con una popolazione di nomadi urbani che si spostano tra parchi e strade del lusso. 

Non è chiaro al momento cosa pensano di fare le autorità della California con le persone che vorrebbero sgombrare da Skid Row. L’impresa è complicata dal fatto che non si tratta più, come in passato, soltanto di residenti locali che si sono trovati per vari motivi a vivere in strada. La recente ondata di immigrazione dall’America Latina ha portato oggi in quelle tende anche famiglie con bambini arrivate da Nicaragua, Perù, Honduras e Venezuela che non hanno trovato altro posto dove stare e sono finite là dove un tempo finiva l’America. 
I wanna take shelter from the poison rain / Where the streets have no name, cantavano gli U2 quasi quarant’anni fa sul tetto del negozio di liquori a fianco del famigerato Cecil Hotel. Ma non sembra esserci “riparo dalla pioggia velenosa” nelle strade senza nome degli Stati Uniti degli anni Venti.  

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