Editoriali
La censura russa su YouTube
La piattaforma accetta di rimuovere quattro video contro la guerra in Ucraina, ma la chiusura del social rischierebbe soltanto di isolare ulteriormente Mosca
Putin chiede, YouTube provvede. Sulla piattaforma video sono stati bloccati quattro video di alcuni canali russi contro la guerra in Ucraina. Molti di questi spiegano ai russi come evitare l’arruolamento nell’esercito: un video sulla “resistenza alla mobilitazione” del canale russo “Dozor v Volgograde”, seguito da quasi 30 mila iscritti, e un video del canale “scuola di coscrizione” dell’avvocato Maxim Bereza, che offre aiuto per i coscritti e supporto legale nell’arruolamento militare.
Un altro video è invece del media indipendente Ovd-Info, con quasi 100 mila iscritti, che già all’inizio di maggio era stato informato dal Roskomnadzor, l’agenzia che monitora e censura i social media russi, del blocco di altri cinque suoi siti. Per il Cremlino il media non rispetterebbe la legge sugli “agenti stranieri”, la stessa da cui ha preso spunto il governo georgiano e che ha provocato proteste nella capitale Tbilisi che durano da mesi. Mosca vuole bloccare l’intero canale YouTube di Ovd-Info, e secondo il portavoce del media, “questo è il primo caso in Russia in cui Roskomnadzor chiede di bloccare un intero canale anziché un video specifico”. YouTube è uno degli ultimi social “stranieri” rimasti sull’internet russo, tutti gli altri, tra cui X e Facebook, sono già censurati e il Cremlino ha più volte minacciato di bloccarlo sul suolo russo per sostituirlo dall’alternativa RuTube.
Ciò che ferma la decisione è l’enorme pubblico della piattaforma, che in Russia ha 93 milioni di utenti: la chiusura di YouTube isolerebbe ulteriormente la società russa, rendendo la censura di Mosca sempre più simile a quella di Corea del nord, Iran e Cina, con il suo Great Firewall, la grande muraglia di Pechino. Come è successo con Mosca, alcuni social occidentali hanno provveduto a censurare alcuni contenuti sotto l’ordine di Pechino: la stessa YouTube la settimana scorsa ha censurato i video contenenti l’inno divenuto simbolo delle proteste di Hong Kong, e a fine aprile anche Apple aveva eliminato alcune app dal suo store cinese dopo aver ricevuto l’ordine della Cina di rimuoverle per motivi di “sicurezza nazionale”.
la causa negli stati uniti
I tiktoker americani si preparano a cambiare social, ma i brand resistono
Il presidente argentino