La diplomazia cinese, oltre il cognac

Xi Jinping a Parigi costringe Macron e von der Leyen a fare i conti con la guerra commerciale

Giulia Pompili

La coercizione economica e il pensiero magico europeo di chi pensa: possiamo fermare la Russia (o l'Iran) con l'aiuto della Cina. La diplomazia cinese "opera in una bolla. Dialoga con gli altri paesi ma non in un modo interattivo”, ci spiega Andrew Scobell (Usip)

Da un lato il cognac francese, e la minaccia di aumentare i dazi per ragioni politiche come già avvenuto in passato con il vino australiano. Dall’altro le indagini della Commissione europea sui sussidi statali ricevuti dalle aziende cinesi nei settori delle auto elettriche, delle turbine eoliche, dei pannelli solari, dei dispositivi medici, che avrebbero alterato il mercato. C’è stato soprattutto questo sul tavolo di discussione ieri all’Eliseo fra il leader cinese Xi Jinping, il presidente francese Emmanuel Macron e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, all’ombra di una potenziale guerra commerciale tra Bruxelles e Pechino e nel tentativo, da parte europea, di convincere la leadership cinese a fermare il proprio sostegno economico e politico alla guerra contro l’Ucraina della Russia di Putin. Due argomenti che in realtà si sovrappongono, come ha scritto ieri sul Monde il capolista socialista alle europee di giugno Raphaël Glucksmann, criticando Macron e il suo “realismo” basato su dati di realtà distorti: “Senza l’aiuto della Cina”, della sua strategia Made in China 2025 e della “doppia circolazione”,  che “ mirano a sradicare le nostre capacità produttive in Europa”, scrive Glucksmann, “la Russia non sarebbe stata in grado di far fronte alle sanzioni occidentali e di organizzare un simile sforzo bellico”. 

 

 

Dopo il trilaterale di ieri, von der Leyen ha detto ai giornalisti di sperare in una Cina che “gioca in modo leale”, ma pure che “l’Europa non esiterà a prendere le decisioni difficili necessarie per proteggere la sua economia e la sua sicurezza”. Il problema per l’Europa è l’equilibrio con Pechino, che sovrappone il piano politico a quello economico, usando le divisioni tra i paesi membri per ottenere vantaggi.  Macron vuole mettersi alla guida di una politica estera indipendente dell’Europa con la Cina, ma nel frattempo teme di essere costretto a subirne la coercizione economica – la stessa che l’Italia ha evitato sostituendo, di fatto, il memorandum sulla Via della seta con il partenariato strategico di berlusconiana memoria, rabbonendo Pechino ed evitando ritorsioni. Ora Parigi vorrebbe fare in modo che la Cina, dopo aver aperto a gennaio un’indagine sulle importazioni di brandy dall’Ue, aumenti esponenzialmente i dazi sulle pregiate bottiglie di produzione francese, destinate all’export verso la Cina per oltre il 19 per cento della produzione totale. Una ritorsione politica del tutto simile a quella di qualche tempo fa di Pechino contro le importazioni di vino australiano (con tariffe aumentate del 218,4 per cento), che avevano portato a una crisi del settore. E così Macron ieri ha regalato a Xi una bottiglia di cognac Luigi XIII (4 mila euro), in cambio di una “rassicurazione” sul fatto che Pechino “non venderà armi” alla Russia. Ma la Cina ha lavorato a lungo per essere oggi in grado di esercitare pressioni politiche sfumate, indirette, che provocano quasi un’autocensura, e questo ha un effetto anche sulla concretezza degli appelli dell’Europa affinché Pechino “limiti l’irresponsabile proliferazione di missili balistici e droni iraniani”, come ha detto ieri  von der Leyen. Continua a essere un dialogo con pochi risultati politici. E c’è un motivo.

 


La leadership cinese, ovvero la leadership del Partito comunista cinese, si muove sempre più con modalità eremitiche, nonostante abbia avuto un ruolo molto attivo nella diplomazia internazionale: “Opera in una bolla. Dialoga con gli altri paesi ma non in un modo interattivo”, dice al Foglio Andrew Scobell del China Program all’Institute of Peace americano. I diplomatici cinesi sono addestrati per “fare lezioni, e dire la ‘storia della Cina in modo corretto’. E’ uno scambio a senso unico”. E quindi tutti, seduti a un tavolo con la Cina, giocano in realtà alle regole di Pechino. La diplomazia deve andare avanti lo stesso però, così i funzionari dell’Amministrazione americana vanno in Cina e Xi Jinping incontra i leader europei, secondo delle regole diplomatiche che hanno a che fare anche con l’engagement economico. Ma c’è un errore di fondo, dice Scobell, perché “Xi Jinping e i leader di Partito vedono la Cina sotto una minaccia costante, e questa è la loro mentalità attuale”, ed è questo che rende molto difficile arrivare a risultati diplomatici. Macron è probabilmente tra chi spera che la leadership cinese sia più ragionevole di quel che sembri: “Ci sono persone perfino negli Stati Uniti che dicono: se solo riuscissimo a capire meglio la Cina. Sulla superficie un’affermazione del genere ha senso. Il problema è che anche se capisci la Cina – e io la studio da anni, e penso un po’ di capirla – anche in quel caso è difficile instaurare un rapporto di cooperazione con la Cina. E’ questa la parte più frustrante. Nessuno vuole essere nemico della Cina, nessuno vuole iniziare una guerra” – anche commerciale – “ma quindi come gestisci la pace? Sotto Xi Jinping è sempre più difficile gestire la pace”, dice Scobell.  

 

 

Il pensiero magico attorno a Pechino, che media e risolve le crisi, e aiuta l’occidente a fermare la guerra della Russia contro l’Ucraina, si scontra spesso con la realtà dei fatti, quelli che per esempio riguardano le attività del ministero della Sicurezza cinese anche in Europa, la propaganda anti occidentale, le pratiche di coercizione economica: “La Cina è molto brava a capire le differenze tra paesi e cercare di fare leva sulla sua influenza economica”, dice Scobell. “E solitamente, anche se non sempre, ha un profilo più basso rispetto alla Russia in termini di influenza. Per questo è molto difficile contrastarla, soprattutto a livello locale”. Oggi Xi parte per Belgrado, dove per la prima volta prenderà parte alle commemorazioni del bombardamento Nato  che nel 1999 per errore colpì l’ambasciata cinese. La Serbia lo accoglie a braccia aperte, con la retorica più anti Nato che può. 

Di più su questi argomenti:
  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.