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Una Turchia diversa

I sindaci di Istanbul e Ankara hanno costruito la sconfitta di Erdogan più pesante di sempre

Mariano Giustino

Il successo dei due non è dovuto solo ai cinque anni di buona amministrazione, ma alla stanchezza e alla sofferenza di un elettorato che vive una grave crisi economica dal 2013, insofferente allo strapotere asfissiante dell'Akp e che vede in loro la possibilità di un auspicato cambio di regime

Istanbul. Ekrem Imamoglu, 53 anni, è l’unico politico turco che è riuscito a sconfiggere il partito del presidente Recep Tayyip Erdogan, l’Akp, per ben quattro volte: nel 2014, quando vinse in un distretto di Istanbul precedentemente controllato dall’Akp; due volte nel 2019, perché dopo la vittoria del 31 marzo di quell’anno per soli 18 mila voti, Erdogan fece ripetere il voto e a giugno Imamoglu rivinse con un largo margine; e ora, domenica, stracciando l’ex ministro dell’Urbanizzazione e dell’Ambiente Murat Kurum, con un distacco abissale di dodici punti.

  
I procedimenti penali intentati contro Imamoglu, che sono stati condannati dagli organismi internazionali per i diritti umani, sono stati un ulteriore segno di come Erdogan veda il sindaco di Istanbul come il candidato più promettente per il cambiamento. Come il presidente turco, Imamoglu è un politico carismatico proveniente da una famiglia sunnita della regione turca del Mar Nero. Si definisce un liberal-socialdemocratico, la sua campagna elettorale si è concentrata sull’ampliamento dei servizi sociali come gli asili nido e i sussidi per le neomamme. E’ sensibile alle questioni di genere, al movimento dei diritti civili e Lgbtq e alle minoranze, compresa quella curda alla quale ha promesso che con lui al potere l’epoca dei fiduciari, i Kayyum, finirebbe (nel 2019 gran parte dei sindaci eletti nel partito filocurdo era stata defenestrata e sostituita con funzionari del governo). Imamoglu ha adottato un approccio costruttivo, una retorica gentile e inclusiva, contrapposta a quella fortemente polarizzante dell’Akp di Erdogan. Come il sindaco di Ankara, Mansur Yavas, ha amministrato bene la sua città cercando di migliorare i servizi e fermando l’urbanizzazione selvaggia con edilizia di scarsa qualità e costruita senza adeguati criteri antisismici. Tra gli impegni di  Imamoglu figurano una campagna per portare i Giochi olimpici nella megalopoli, finanziamenti per imprenditori tecnologici e artistici e l’apertura di dozzine di parchi. Ha anche promesso di mettere in sicurezza 110 mila abitazioni a rischio e di costruire 20 mila unità abitative a basso reddito per essere pronti a un possibile terremoto che secondo i sismologi avrebbe un’alta probabilità di verificarsi a breve termine. 

 
Tuttavia il notevole successo, di Yavas ad Ankara, che si è affermato con il 60,38 per cento sul candidato dell’Akp che ha ricevuto il 31,69 per cento, e quello di Imamoglu a Istanbul non è semplicemente dovuto ai cinque anni di buona amministrazione, ma alla stanchezza e alla sofferenza di un elettorato che vive una grave crisi economica dal 2013, con un’inflazione a tre cifre, che è insofferente allo strapotere asfissiante di Erdogan e che vede in questi due leader politici personalità di grande spessorein grado di garantire un auspicato cambio di regime.


Il sorpasso tanto atteso, dunque, è avvenuto: il Partito repubblicano del popolo (Chp), il maggior partito d’opposizione, ha scavalcato il Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp) del presidente Erdogan ed è diventato il primo partito, si è affermato in 36 province rispetto alle 23 del partito di governo. Era dal 1989 che il Chp non vinceva un’elezione e per risalire a un risultato di queste proporzioni, il 37,7 per cento su scala nazionale, bisogna tornare al 1977 con Ecevit. La vittoria è netta, soprattutto nelle prime sei città più popolose del paese: Istanbul, Ankara, Izmir, Bursa, Adana, Antalya.


Per darvi una idea della pesante sconfitta dell’Akp: i quattro quinti dell’economia turca e i due terzi della popolazione del paese, ora, sono sotto la guida dei sindaci dei repubblicani del Chp; l’Akp ha perso 4 milioni di voti e il Chp ne ha guadagnati 5; i repubblicani hanno conquistato molti distretti di alcune province dove non avevamo mai avito successo, compreso roccaforti dell’Akp. 


La geografia dei partiti politici in Turchia è rivoluzinata. Ora il Partito repubblicano del popolo ha una sua presenza significativa in termini percentuali anche nell’est e non ha bisogno dei litigiosi partitini di destra nazionalista ormai ridotti all’inconsistenza, dopo la disfatta dell’alleanza della nazione registrata appena dieci mesi fa, nel maggio 2023. La vittoria di Imamoglu ha ravvivato le speranze di milioni di turchi, infuso nuova vitalità nell’opposizione e consolidato la posizione del sindaco di Istanbul a leader dell’opposizione e di candidato più probabile alle prossime elezioni presidenziali del 2028. 


Possiamo concludere che la democrazia in Turchia è, nonostante tutto, ancora viva e vegeta; che l’opposizione è uscita rafforzarsi con due personalità di spicco; che Imamoglu e Yavasş hanno guidato la carica da Istanbul e da Ankara; che i curdi contano sempre in maniera decisiva e che l’inflazione ha danneggiato gravemente il partito al governo e ora Erdogan ha quattro anni difficili da affrontare.