Influencer a Teheran

In Iran la guerra degli ayatollah a Instagram mette a rischio due milioni di giovani imprenditori

Cecilia Sala

L’ultimo divieto contro le reti Vpn che getta una generazione di iraniani (ma soprattutto di iraniane) nell’incertezza economica

Due milioni di giovani imprenditori e imprenditrici iraniani si sono inventati un lavoro digitale e oggi i loro guadagni dipendono dalla possibilità di usare una piattaforma in particolare: Instagram e la sua sezione shopping. Instagram come Facebook e Whatsapp fa parte del gruppo Meta di Mark Zuckerberg e la Repubblica islamica aveva formalizzato la decisione di chiudere la piattaforma nel paese due giorni dopo l’inizio della protesta Jin, Jiyan, Azadi (donna, vita, libertà) nel settembre del 2022 in cui Mahsa Jina Amini è morta mentre era in custodia della polizia religiosa. In teoria le reti virtuali Vpn, che tutti i giovani iraniani conoscono, permettono di geolocalizzarsi in un paese diverso dall’Iran e così di scavalcare la censura, ma le autorità hanno escogitato nuovi metodi per ostacolare la generazione dissidente e le sue influencer. 

Il primo è rallentare internet per tutti i cittadini pur di punire quelli che usano la rete in modi che agli ayatollah non piacciono. Il secondo sono le intimidazioni all’economia tradizionale che collabora con la gig economy creata dai giovani iraniani ostili al regime: ora le imprenditrici online e le influencer rischiano di perdere il lavoro perché i marchi nazionali hanno paura di affidarsi ai volti noti di un social network proibito e non comprano più la pubblicità su Instagram, e perché le banche scollegano i propri sistemi di pagamento dalla piattaforma. 

Negli ultimi dieci anni è cresciuta una gig economy locale di cui i giovani iraniani sono sia i lavoratori sia i clienti. A Teheran è nato Tapsi, il servizio di car sharing più diffuso del paese, Aparat, lo YouTube locale, Digikala, per vendere e comprare vestiti in rete e molte altre società che offrono servizi online. La crisi economica aveva comportato l’esclusione dei ventenni e trentenni dall’economia tradizionale e aveva creato una massa di persone che non dipendono dagli stipendi pagati dal governo o dalle fondazioni gestite dai pasdaran e dal clero per vivere: la generazione dissidente è la stessa che negli ultimi anni aveva separato il proprio destino lavorativo dall’economia di regime. Di questa economia parallela fanno parte le imprenditrici e le influencer che vendono bigiotteria, masterclass, oggetti d’arredo artigianali, lezioni di yoga o d’inglese, vestiti e cosmetici oppure che usano il proprio seguito per guadagnare come volti di campagne pubblicitarie su Instagram, che è la terza piattaforma digitale più utilizzata nel paese. Delle due milioni di micro aziende che vendono i loro prodotti nella sezione shopping di Instagram soltanto meno di un quinto hanno anche un negozio fisico e per il 64 per cento sono gestite da donne.

Una delle influencer più famose d’Iran è Havin Hosseini, che ha quasi 800 mila follower e gestisce una pagina sull’emancipazione femminile. La biografia sul suo profilo dice: “Qui l’obiettivo è migliorare la salute mentale delle donne e aiutarle a guadagnare di più”. 
Zeinab Musavi ha un profilo che si chiama “Imperatore Kuzco” e con 645 mila follower è la più famosa comica iraniana online. Vive grazie alle donazioni dei suoi seguaci e nella sua bio c’è scritto: “I video che creo e pubblico qui sono il mio lavoro. Se ti piacciono, puoi contribuire con la cifra che vuoi attraverso questi due link’’. Per lei dover rinunciare alle donazioni dei suoi fan significa perdere la possibilità di pagare l’affitto.  

L’influencer Farzaneh Mezon, che vende prodotti di bellezza e che non aveva rinunciato a Instagram nonostante le nuove proibizioni del settembre del 2022, a luglio si è ritrovata con il suo negozio online bloccato per decreto d’ingiunzione di un giudice della magistratura islamica. 
A febbraio il Centro nazionale per il cyberspazio ha ufficialmente proibito l’uso delle reti Vpn in Iran. Avere una Vpn installata sul proprio smartphone è diventato pericoloso ma è anche l’unico modo rimasto alle iraniane e agli iraniani per guardare i contenuti di Hosseini, per fare donazioni alla comica Musavi o per comprare i prodotti di bellezza di Mezon. L’ultimo divieto non è soltanto un attacco alla libertà di espressione di una generazione di iraniani, è una punizione collettiva contro centinaia di migliaia di giovani che si erano inventati un mestiere nonostante la crisi e che ora vengono gettati tutti insieme nell’incertezza economica.

 

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