Il rischio Barbecue

Conseguenze di tipo haitiano per un programma demenziale. Ecco perché Trump non ce la può fare

Giuliano Ferrara

Il risvolto della propaganda di Trump è il caos, una guerra civile permanente simile a quella a cui si sta assistendo ad Haiti. La retorica dell’uomo forte ha il suo fascino, ma gli elettori sono sempre ostili alla prospettiva del disastro

Continuo a pensare che Trump alla fine non ce la possa fare. La lezione di Haiti è chiara. Il caos è il vero nemico di ogni società, è un fattore di dissoluzione che porta al collasso tutto, ospedali, scuole, redditi, lavoro, pace e sicurezza. Le conseguenze ovvie di un programma folle come quello che Trump bandisce nelle sue apparizioni pubbliche sono di tipo haitiano, sono la prospettazione di una guerra civile permanente. Se il capo di una gang haitiana, chiamato Barbecue, può invadere e chiudere l’aeroporto, può impadronirsi della capitale dello stato, può ergersi a tutore dei forgotten men gettandoli in una miseria più nera del nero, se tutto questo è possibile lo si deve alla scomparsa della norma, al fatto che il parlamento è chiuso, le forze di polizia e l’esercito non rispondono più ai comandi. Il caos è questo “lago di merda” che secondo il suo ingegnere capo, Mister Bannon, è l’habitat naturale della campagna elettorale del suo capo o ex capo, e il segreto del suo successo. 

 

Secondo Edward Luce del Financial Times, Trump non fa più notizia, sollecita al massimo un’alzata di spalle ogni volta che spara alzo zero le sue balle perniciose. Quando mente a ripetizione, quando dice che l’inflazione è al 50 per cento, quando prevede l’inferno per investitori e risparmiatori nell’economia più florida del mondo, quando proclama che libererà dal carcere il primo giorno della sua presidenza i teppisti cornuti che invasero il 6 gennaio del 2021 il Campidoglio, quando si impegna a deportare 14 milioni di immigrati, quando dice che non darà più un dollaro all’Ucraina decretando la vittoria del suo amico Putin, quando tratta la stampa come un’organizzazione criminale, quando promette di indagare e perseguire i suoi nemici politici attraverso lo strumento della procura generale di giustizia dipendente dalla Casa Bianca, in tutti questi casi il risvolto della sua propaganda demenziale è il caos. E il caos al Barbecue è ciò che una società cerca di scongiurare con il funzionamento delle sue istituzioni, con un linguaggio che consenta alla macchina della politica di funzionare. 

 

Il carico di delusione e perfino di rabbia oltre la sfiducia che grava sulle spalle degli elettori americani non può tecnicamente superare nel peso il rischio del caos. La distruzione della più antica democrazia costituzionale del mondo potrebbe perfino essere considerata un’opzione, la retorica dell’uomo forte e della sua spavalda sicurezza ha il suo fascino, ma la paura del caos è il motore vero dell’autorità statale, e gli elettori esercitano un’autorità politica da questo punto di vista sempre e sistematicamente ostile alla prospettiva del disastro, del caos. 

 

Putin che dilaga in Europa, la Cina vera padrona del mondo, la faziosità elevata al rango di giustizia, non sono ipotesi ammissibili da chi tema il risvolto caotico delle decisioni prese dal potere federale. Fin qui è stato il momento del circo delle primarie, la riaffermazione di un potere carismatico opaco ma fortissimo di Trump sul suo partito. I sondaggi registrano questo, e la stanchezza connaturata all’esercizio del potere di un ottantenne gravato da solida esperienza e un certo grado di dislessia, impacciato da una situazione mondiale atroce su tutti i fronti e da un sentimento di declino della sicurezza che pervade gli Stati Uniti. Ma se Trump continua la sua campagna del caos, c’è da scommettere che alla fine la partita sarà persa. Gli uomini forti devono fare in modo che i treni arrivino in orario, sennò è solo Barbecue.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.