economia di Putin

La “principale banca cinese” usata dai russi per aggirare le sanzioni tronca con Mosca. E' stato Biden

Cecilia Sala

“La principale banca cinese usata per importare beni in Russia ha sospeso tutti gli accordi con la Federazione”, titola il secondo giornale economico di Mosca. E' la conseguenza diretta delle sanzioni secondarie (quelle che fanno più male) imposte dagli Stati Uniti a dicembre 

“La principale banca cinese usata per importare beni in Russia ha sospeso tutti gli accordi con la Federazione russa”, titolava ieri il Vedomosti, il secondo giornale economico di Mosca. Significa che la nuova punizione  imposta da Joe Biden alla fine di dicembre, che sul Foglio avevamo chiamato “la sanzione micidiale contro Putin”, produce i suoi effetti. Le sanzioni secondarie sono più efficaci di quelle primarie perché minacciano gli istituti di credito con l’espulsione dal sistema finanziario americano, che è ancora in buona sostanza quello mondiale. Un’eventualità molto temuta anche dalle banche cinesi o turche, che fino a quando sono state in vigore soltanto le sanzioni primarie (che impegnano le persone e le organizzazioni dei paesi che le hanno sottoscritte) avevano continuato, e spesso aumentato, i propri scambi con la Russia. 

Le sanzioni secondarie hanno effetti rapidi perché non dipendono dai controlli ma contano sulla reazione spontanea delle banche internazionali al solo annuncio dell’ordine esecutivo che le impone firmato dal presidente degli Stati Uniti. Perché le banche hanno un’avversione al rischio di essere espulse dal sistema degli scambi in dollaro molto alta. Un rischio che un istituto cinese attivo a livello internazionale come la Zhejiang Chouzhou  Bank non si può permettere di correre, così una  settimana fa i vertici   hanno notificato ai loro clienti la fine dei rapporti con “le organizzazioni russe e bielorusse”.

Tre uomini d’affari lo hanno raccontato  a Vedomosti, che poi ha trovato ulteriori conferme parlando con  le associazioni datoriali  e i consulenti finanziari di Mosca. Un imprenditore russo di Izhevsk, che acquista macchinari in Cina, ha raccontato che già a dicembre – quando Biden ha imposto le sanzioni secondarie – la Chouzhou gli aveva comunicato il blocco  dei  pagamenti. Le sanzioni  colpiscono l’economia di guerra di Vladimir Putin, le componenti meccaniche fanno parte della macchina bellica russa e, anche considerando che una parte dell’industria civile è stata riconvertita a produrre proiettili d’artiglieria e mezzi per il trasporto  truppe, la banca cinese ha risposto all’imprenditore russo con una lista  di merci per cui non avrebbe più accettato pagamenti in rubli “a causa delle regole occidentali”. Poi a gennaio il direttore della banca cinese ha annunciato “la fine dei rapporti con la Russia”: a questo punto indipendentemente dal tipo di merce o dalla valuta usata. E indipendentemente anche dal sistema di pagamento: non sono sospese soltanto le transazioni Swift, ma anche quelle con l’Spfs, il sistema russo, e il Cips, quello cinese. 

In sintesi: l’economia di Putin ha retto (relativamente) anche perché le merci  che Mosca non poteva più acquistare direttamente in Europa le sostituiva con prodotti cinesi    oppure se la accaparrava  attraverso le triangolazioni. L’Azerbaigian, gli Emirati, la Turchia importavano merci europee che poi, spesso attraverso banche cinesi e turche, vendevano a Mosca.  Adesso con le sanzioni secondarie operare queste triangolazioni diventa molto rischioso per gli istituti finanziari. E anche la questione della giurisdizione extraterritoriale (come far valere regole occidentali oltre i confini dell’Europa e degli Stati Uniti) perde rilevanza perché non si tratta più di punire le banche (come si fa con quelle occidentali quando vìolano le sanzioni primarie) ma di escluderle. In questo caso,  la minaccia di farlo è sufficiente a produrre conseguenze concrete. 

Alla fine di gennaio il quotidiano economico turco Ekonomim aveva raccontato “i primi segnali di una paralisi” delle esportazioni dalla Turchia verso la Russia come conseguenza dell’improvviso rifiuto da parte di alcune banche locali di accettare pagamenti in rubli. Ma quello di Chouzhou è il caso più serio perché la banca cinese era il principale centro di smistamento per gli importatori russi grazie alla sua “conformità  indulgente” (fino a un mese fa)  con le direttive occidentali e alla sua posizione: ha la sede a Yiwu, l’hub più famoso delle esportazioni cinesi in Russia.

 

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