I manifesti della campagna elettorale di Nawaz Sharif in un mercato a Lahore, Pakistan, 5 febbraio 2024 (AP Photo/KM Chaudary) 

Fra party, galere e nessun comizio, a decidere le elezioni in Pakistan sarà come sempre l'esercito

Francesca Marino

Se si votasse davvero, a vincere sarebbe ancora una volta il Pti di Imran Khan, ex premier ora in carcere. Nawaz Sharif è dato per sicuro vincitore di queste elezioni

Islamabad è in pieno fermento, dicono. Regine dei salotti e re delle istituzioni fanno lucidare l’argenteria a specchio per accogliere, come sempre, i più di duecento osservatori internazionali piombati in città per monitorare lo svolgimento dell’ennesimo “processo democratico” in salsa pachistana. Party elettorali e cene con fini analisti appartenenti all’intellighenzia locale sono in pieno svolgimento, le scuole sono state chiuse per una settimana e l’esercito dislocato a ogni angolo di strada per “garantire la sicurezza” dei cittadini che si recheranno alle urne. E, come potranno testimoniare i duecento osservatori, sono state prese le misure abituali per garantire elezioni libere e democratiche: giornalisti e media minacciati, picchiati e silenziati. Oppositori messi a tacere con le minacce, chiusi in galera con pretesti peregrini o neutralizzati in altri modi. Il divieto di assembramento emanato a singhiozzo in varie provincie per evitare comizi e manifestazioni, dimostranti picchiati e messi in galera. 

 
Tutti sanno che, se si votasse davvero, a vincere sarebbe ancora una volta il Pakistan Tehreek-e-Insaf (Pti) di Imran Khan, ex primo ministro al momento in carcere. Al Pti è stato proibito di adoperare il proprio simbolo elettorale, i maggiori esponenti del partito sono stati minacciati e costretti a dimettersi o imprigionati, ai sostenitori sono stati impediti comizi e manifestazioni. Nei confronti di Imran Khan, interdetto dal partecipare alle elezioni per cinque anni, sono state emesse tre sentenze di condanna in meno di una settimana: una di dieci anni per aver rivelato segreti di stato, una a quattordici anni per corruzione e una a sette anni per aver violato la sharia in materia di matrimoni sposando la sua attuale consorte prima che fosse terminato il periodo di attesa tra un matrimonio e l’altro prescritto dalla legge islamica. Imran, sfiduciato dal Parlamento due anni fa, ha commesso lo stesso errore fondamentale che altri primi ministri hanno commesso prima di lui: ribellarsi all’esercito. E l’esercito non perdona i suoi pupilli che cercano di prendere decisioni individuali. 

  
Lo sa bene Nawaz Sharif, dato per sicuro vincitore di queste elezioni, che durante le elezioni precedenti sedeva malinconico in galera al posto di Imran. D’altra parte, per un premier pachistano un soggiorno nelle patrie galere è una specie di rito di passaggio, e non pregiudica eventuali future rielezioni. E in fondo, nessun primo ministro ha mai completato un mandato. Eletto nel 2018 con quelle che sono state definite le elezioni più truccate della storia del Pakistan (fino a questo momento), Khan, la cui carriera politica è stata forgiata da alti ranghi dell’ISI e dell’esercito, era stato accuratamente selezionato e addestrato per il compito affidatogli, compito che l’ex playboy campione di cricket sembrava felice di svolgere secondo le indicazioni ricevute. Cosa è andato storto? Imran ha sposato in terze nozze Bushra che, a quanto sostiene, ha un filo diretto con gli spiriti e che aveva profetizzato la sua ascesa al potere nel caso in cui il matrimonio fosse stato celebrato (nonostante ai tempi sia Imran sia la signora fossero già sposati con altre persone). Dopo il matrimonio però, si dice, la signora non si è più limitata a consigliere l’applicazione di lenticchie sulle parti intime per aumentare la potenza e scacciare il malocchio ma ha cominciato a dettare al premier, oltre agli affari da combinare, anche la linea politica da tenere. Così, sostenuto anche dalla corte di nani e ballerine il cui compito principale era quello di lusingarlo facendogli credere che godesse di un potere reale, Imran Khan ha intrapreso una lunga battaglia suicida contro l’allora capo dell’esercito generale Qamar Javed Bajwa


Il resto è storia, che si ripete sempre uguale a se stessa. L’esercito ha scelto di ributtare in campo per la quarta volta il vecchio-che-avanza Nawaz Sharif: corrotto, corruttibile e ricattabile. Imran resta in panchina, le urne daranno liberamente e democraticamente il loro verdetto confirmatorio tra gli sguardi appannati degli osservatori internazionali. E lo spettacolo può continuare.