medio oriente

Teheran bombarda Iraq, Siria e Pakistan in un attacco senza precedenti

Cecilia Sala

L'Iran vuole vendicarsi e spaventare, non allargare la guerra: Gaza non c'entra

Martedì l’Iran ha sparato missili dal proprio territorio per la prima volta dal 7 ottobre. Prima dell’alba a Erbil, la capitale della regione quasi autonoma del Kurdistan iracheno, si sono sentite nove esplosioni. Un razzo lanciato dal sud-ovest dell’Iran si è schiantato contro la casa di Peshraw Dizayi, un uomo d’affari curdo, uccidendo lui, sua figlia appena nata e alcuni suoi parenti. I Guardiani della rivoluzione hanno detto di aver usato 24 missili balistici e che alcuni hanno viaggiato anche per 1.200 chilometri – significa che quello di ieri è stato il più massiccio bombardamento della Repubblica islamica che si sia visto finora. 

Gli obiettivi di Teheran erano due: i fondamentalisti islamici in Siria, nella zona di Idlib, e il presunto “quartier generale del Mossad” in Iraq, tra i palazzi residenziali appena fuori Erbil. Secondo i pasdaran, il milionario curdo Dizayi era una spia dello stato ebraico che passava informazioni al nemico sui bersagli iraniani nell’area. Nel linguaggio di Teheran la rivendicazione è un modo per dire due cose: abbiamo punito il Mossad, ma senza colpire direttamente gli israeliani perché non vogliamo una guerra più grande.  

Gli incendi causati dall’impatto delle bombe a Erbil sono arrivati vicini al consolato degli Stati Uniti in costruzione e all’aeroporto, che ospita i contingenti internazionali, ma gli americani hanno specificato subito: non siamo stati colpiti. Teheran vuole vendicare i suoi morti ed essere percepita come pericolosa ma anche mettere in chiaro che i suoi proiettili non hanno lo scopo di fare esondare la crisi oltre i paesi che ha già contagiato. Nel comunicato sull’operazione notturna Gaza non viene nemmeno citata. 

I pasdaran hanno raccontato alla stampa amica che questo è l’inizio della vendetta per il massacro di Kerman, l’attentato terroristico più grave della storia della Repubblica islamica in cui sono morte quasi cento persone, che si è consumato sulla tomba del generale Suleimani. E per l’uccisione del generale iraniano Mousavi a Damasco il giorno di Natale. I due fatti sono in qualche modo collegati, ma non per le ragioni care ai complottisti (non perché dietro ai due eventi ci sia lo stesso mandante). Mousavi – che si occupava di tenere Bashar el Assad saldo al potere in Siria e di procacciare i missili a Hezbollah in Libano – è stato il pasdaran più alto in grado ucciso in un attacco nemico da quando, quattro anni fa, un drone americano ha incenerito Suleimani a Baghdad. Le connessioni tra i due fatti si fermano qui. L’attentato di Kerman è stato rivendicato dallo Stato islamico, dietro al raid che ha ucciso Mousavi invece c’è Israele. Sono due eventi molto diversi, ma per la Repubblica islamica cadono entrambi sotto il cappello di “azioni terroristiche” da punire. 

Nonostante il numero senza precedenti di bombe, il raid iraniano non è stato una prova di forza. I pasdaran hanno preferito i bersagli facili ai bersagli giusti, e non hanno colpito i responsabili diretti della morte di Mousavi o dei pellegrini. Nel primo caso hanno vendicato il capo pasdaran senza colpire Israele, nel secondo hanno bombardato milizie islamiste nel nord-ovest della Siria che poco hanno a che fare con i terroristi dello Stato islamico che si sono fatti esplodere sulla tomba di Suleimani. Colpire il bersaglio giusto avrebbe voluto dire uccidere i fondamentalisti sunniti che si addestrano in Afghanistan e poi passano il confine nascosti tra i profughi per colpire gli infedeli sciiti iraniani, ma raccogliere informazioni sulle loro posizioni è complicato e la Repubblica islamica non si può permettere di aprire una crisi – o una guerra – anche con i talebani. Il nord-ovest della Siria è una specie di terra di nessuno, così come i curdi d’Iraq non sono davvero protetti dal proprio governo centrale a Baghdad, quindi un’operazione in queste zone è molto scenografica e al contempo a basso costo.

Dell’attacco combinato iraniano di ieri faceva parte anche uno sciame di droni spedito oltreconfine contro due basi del gruppo terroristico Jaish al Adl nel Baluchistan pachistano. E’ un modo per punire i beluci iraniani che protestano contro il governo centrale e attaccano caserme e mullah nel sud tribale del paese, e per presentare quella di ieri come una maxi operazione contro tutte le tipologie di terrorismo che affliggono la Repubblica islamica.

Il governo iracheno, in protesta con l’attacco, ha richiamato il suo ambasciatore a Teheran, ma i legami con gli uomini che comandano Baghdad sono sufficientemente solidi perché gli ayatollah non abbiano di che preoccuparsi rispetto al futuro delle proprie alleanze. 

 

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