La Cina fa soldi con gli attacchi houthi e promuove la sua Via del ferro

Giulia Pompili

I cargo diretti in Russia o Cina godono di una certa immunità dagli attacchi houthi, grazie all'amicizia con l'Iran. La "potenza di pace" che resta "neutrale", ma i suoi droni sganciano le bombe di Hamas

La Repubblica popolare cinese sta ottenendo un certo livello di immunità e impunità mentre si ritrova coinvolta nella maggior parte delle crisi internazionali pur rivendicando la sua posizione di “neutralità”. A fine novembre, poco prima che gli attacchi terroristici degli houthi nel Mar Rosso diventassero un problema globale, la coalizione antipirateria aveva richiesto l’aiuto di due cacciatorpediniere della Marina cinese che si trovavano vicine a una nave cisterna sotto attacco. Le due navi avevano ignorato la richiesta. Oggi cargo e imbarcazioni civili con legami con la Cina che passano attraverso il Mar Rosso sostituiscono il segnale di destinazione con messaggi che evitino la confusione con navi dell’alleanza occidentale, per esempio “equipaggio tutto cinese”, ha rivelato Bloomberg. Il problema è di essere scambiate per navi con legami con Israele, America o Regno Unito, perché in realtà i cargo diretti in Russia o Cina godono di una certa immunità dagli attacchi houthi. Soprattutto quelli carichi di petrolio, l’oro nero del regime iraniano: secondo diversi osservatori, il motivo per cui finora la maggior parte delle petroliere non sarebbe stata attaccata riguarda le  relazioni sempre più strategiche fra Teheran e  Mosca e  Pechino. Finora, l’unica decisione cautelativa presa dalla Cina per tutelare i suoi commerci marittimi riguarda la Cosco, il colosso dei trasporti, che non attracca più nei porti israeliani. Non solo: i media statali cinesi stanno promuovendo i servizi di cargo ferroviari della China-Europe Railway Express, parte del grande progetto strategico della Via della seta di Pechino, come alternativa più sicura al trasporto su acqua.    

 

Come per la guerra in Ucraina, anche nella guerra in medio oriente la neutralità della Cina è di facciata: i funzionari di Pechino non hanno condannato l’attacco a Israele del 7 ottobre scorso da parte di Hamas, e anche per la crisi nel Mar Rosso ha criticato la decisione di America e Regno Unito di portare avanti strike sulle postazioni houthi in Yemen perché “alimenta una guerra ingiusta e contribuisce all’instabilità regionale”. Ma c’è di più. Parte delle armi e dell’equipaggiamento che Hamas ha ammassato negli anni sono cinesi, oltre che russi, nordcoreani e iraniani. L’ha rivelato ieri l’Ap pubblicando i risultati di un’analisi che riguarda più di 150 video e foto degli ultimi tre mesi di combattimenti a Gaza. Non è detto che le armi siano state acquistate direttamente dai paesi di provenienza, ma più probabilmente si tratta di armi vecchie e contrabbandate più volte, che vengono dal mercato nero che passa per l’Egitto. Ma il fatto che anche Hamas usi i quadricotteri cinesi per sganciare bombe acquistabili anche online, usati pure dalla Russia contro l'Ucraina, dovrebbe essere un problema per una potenza responsabile che auspica “dialogo, pace e stabilità”. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.