Leave the World Behind

Il film di Netflix sull'attacco informatico da fine del mondo è più che verosimile

Giulia Pompili

“Il mondo dietro di te”, prodotto dagli Obama, è lo "scenario peggiore" a cui si addestrano già da un anno gli hacker di Pechino 

Una petroliera si avvicina lentamente a una spiaggia di Long Island. “E’ bellissima”, come dice il padre, fino a quando tutta la famiglia è costretta a scappare: la petroliera non si ferma, lentamente arriva sulla sabbia e tira giù tutto quello che trova, ombrelloni e asciugamani. I bagnanti si allontanano, alla distanza giusta per scattare qualche foto, poi tornano a casa. “Volevo leggere quello che è successo in spiaggia, ma il wi-fi non funziona”, ed è la seconda parte della frase a essere la più allarmante, non tanto l’immagine di una petroliera che si spiaggia sulla costa. Così inizia “Leave the World Behind”, “Il mondo dietro di te”, un film da qualche giorno disponibile su Netflix scritto e diretto da Sam Esmail, e basato sull’omonimo romanzo di tre anni fa scritto da Rumaan Alam (in italiano pubblicato da La nave di Teseo). 

Il libro era già nella lista dei migliori romanzi letti dall’ex presidente americano Barack Obama, ma c’era molta attesa sulla pellicola dopo che la Higher Ground Productions, la casa di produzione fondata insieme con l’ex first lady Michelle Obama, aveva deciso di produrre il suo primo film basato su un romanzo e non su una storia vera. Il fatto è che “Il mondo dietro di te” è un film sempre più verosimile per i catastrofisti e gli analisti del “peggior scenario”, e indica un cambio di passo  rispetto ai disaster movie, e soprattutto sulle minacce considerate tradizionali come il nucleare – topos cinematografico post Hiroshima – e i cambiamenti climatici. Perché ne “Il mondo dietro di te” a far finire le società sviluppate per come la conosciamo è un attacco cibernetico. 

Basterebbe pensare a Volt Typhoon, a volte chiamato anche Vanguard Panda. E’ un gruppo di hacker con sede in Cina, sponsorizzato dal governo di Pechino, che di solito si concentra sullo spionaggio e sulla raccolta delle informazioni. Nell’ultimo anno, però, ha cambiato strategia. A fine maggio un report di Microsoft, redatto dopo mesi di osservazione e studio, ha fatto sapere che il gruppo hacker aveva iniziato una nuova campagna, e che gli scienziati valutavano “con moderata fiducia che  Volt Typhoon stia perseguendo lo sviluppo di capacità che potrebbero interrompere le infrastrutture di comunicazione critiche tra gli Stati Uniti e la regione asiatica durante crisi future”. Viviamo in un mondo in cui sono molto diversi i tipi di attacchi informatici: ci sono quelli che si compiono per soldi – e sono la maggior parte – ; quelli fatti per spiare aziende e persone e rubarne i segreti, quelli per fare disinformazione. Ieri il Washington Post ha pubblicato una lunga inchiesta sulle attività degli hacker di Pechino, che nell’ultimo si sono concentrati per lo più su una specie di addestramento: mettere fuori uso le infrastrutture americane in caso di conflitto, da un’azienda idrica delle Hawaii a un porto della costa occidentale, fino a oleodotti e gasdotti. Uno dei motivi per cui il romanzo di Rumaan Alam aveva così tanto appassionato Obama era proprio questo: un attacco informatico di vasta portata non riguarda soltanto la possibilità di mettere offline le comunicazioni, o “tornare alla carta”, come si dice spesso. Riguarda l’intero funzionamento della società. C’è una scena, nel film, in cui per bloccare le vie di fuga da Long Island gli aggressori  hackerano le auto a guida autonoma e le posizionano lungo le strade d’uscita. I satelliti sono giù, e così anche i telefoni satellitari. Nessuno sa cosa succede fuori, e nessuno può saperlo. 

Potenziali attacchi di questo tipo alle infrastrutture strategiche sono già da tempo tra le priorità della Nato, e la risposta da parte delle Forze armate è entrata a far parte dell’addestramento dei soldati dell’alleanza. Che sia il tema centrale di un film in streaming prodotto dagli Obama indica quanto, non più soltanto tra gli addetti ai lavori, la sicurezza informatica sia centrale per la difesa collettiva.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.