Germania

Le parole di Anna Frank sono la migliore risposta al delirio antisemita

Francesco M. Cataluccio

Fotomontaggi e nomi di asili da rimodernare: l'Europa alle prese con l'odio verso gli ebrei

Alle medie, in una scuola prefabbricata sulle prime colline di Firenze, avevamo un compagno di classe, Corrado, intelligente e parecchio fascista, per tradizioni famigliari. Giocavamo nella stessa squadra di rugby: quelle mischie e botte erano le uniche occasioni nelle quali evitava di sbandierare le sue idee. Quando la professoressa d’Italiano iniziò a farci leggere in classe il Diario (Il retrocasa, 1947) di Anna Frank, lui dette in escandescenze: sbuffava e sbadigliava rumorosamente, teneva ostentatamente il libro chiuso con sopra appoggiato il suo capo capelli a spazzola. Giunse poi il momento che toccò a lui leggere a voce alta. In classe si fece un silenzio innaturale. E Corrado lesse tranquillamente, con voce forte e chiara. Ma quando finì la lezione, e la professoressa uscì di classe, ebbe uno scatto di nervi: divenne rosso in volto e, scagliando lontano il libro, grido frasi volgari contro la ragazzina autrice del libro. Lo prendemmo a spintoni e lo costringemmo a raccattare il libro. Un libro che ho amato e del quale mi sono ricordato in uno strano cortocircuito quando a Sils Maria, in Engadina, visitai la casa-museo dove Friedrich Nietzsche trascorse i mesi estivi tra il 1881 e il 1888. Tra le tante foto appese alle pareti ce n’è una della famiglia francofortese dei Frank: si vedono i grandi occhioni di Anna bambina, portata dal padre Otto a visitare la casa del grande filosofo, anche se piuttosto antisemita. Allora non avrebbero mai immaginato cosa sarebbe accaduto qualche anno dopo: dover tragicamente scoprire di essere ebrei in quanto perseguitati come ebrei. Costretti a nascondersi ad Amsterdam, vennero arrestati nell’agosto del 1944 e nel settembre deportati ad Auschwitz. L’ormai sedicenne Anna morirà di tifo a Bergen-Belsen, nel febbraio o marzo del  1945.

Nelle scorse settimane, una delle cose che faceva più male nelle manifestazioni pro palestinesi, al di là degli orrendi slogan antiebraici, erano i cartelloni con la foto di Anna Frank, in un fotomontaggio con la kefiah attorno al collo, per simboleggiare vergognosamente che ora le vittime sarebbero loro come allora fu lei. Un delirio antisemita emerso anche l’altro giorno quando l’amministrazione dell’asilo “Anne Frank” di Tangerhütte, in Sassonia-Anhalt, ha annunciato che il nido vorrebbe cambiare nome. La direttrice, Linda Schichor,  ha spiegato alla Volksstimme che “il nome ‘Anne Frank’ sarebbe inadatto e difficile da comunicare ai bambini”. Per fortuna il Welt, citando il presidente del consiglio comunale, Werner Jacob (Cdu), riferisce che tutti i capigruppo dei partiti che vi siedono starebbero preparando un documento per rifiutare la ridenominazione dell’asilo. Il documento è stato presentato ieri al sindaco senza partito Andreas Brohm: “I gruppi parlamentari del consiglio comunale di Tangerhütte chiedono al sindaco di respingere chiaramente questa ridenominazione”. Il documento dice che quella infausta decisione è causata dalla “dimenticanza della storia da parte dei responsabili dell’asilo”. Di fronte a tutto ciò, e a molto altro al quale si è assistito in questo mese, prende lo sconforto. Ma proprio Anna ha scritto: “È un gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse sembrano assurde e inattuabili. Le conservo ancora, nonostante tutto, perché continuo a credere nell’intima bontà dell’uomo che può sempre emergere…”.

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