Le bugie e le responsabilità del pogrom in Daghestan

Micol Flammini

La repubblica della Federazione russa è il pozzo dei soldati di Putin e nella non condanna a Hamas ha letto un via libera a scatenare la caccia all'ebreo. I problemi per il Cremlino, che accusa Kyiv

Non c’erano israeliani sul volo partito da Tel Aviv e diretto all’aeroporto di Makhachkala nel Daghestan, repubblica russa del Caucaso settentrionale a maggioranza musulmana. Ma poco interessava a chi si è fatto trovare domenica notte sulla pista d’atterraggio con in mano armi, pietre e bandiere palestinesi con  le scritte “Il Daghestan è con voi” cercando con furia israeliani ed ebrei. Le intenzioni erano ben dichiarate dalle grida: “Uccidete gli ebrei”, “diteci dove sono gli ebrei”. La caccia è stata rabbiosa, l’intento era quello di fare del male a chiunque fosse sceso dall’aereo, di impedirgli di mettere piede sul suolo del Daghestan con ogni mezzo, con ogni violenza. A circondare l’aeroporto, a correre sulla pista c’erano più di mille persone, hanno travolto i poliziotti, lanciato pietre, occupato le strade attorno alla struttura fino a tarda notte con l’unico proposito di linciare ebrei. Le prime notizie riguardo all’atterraggio dell’aereo proveniente da Tel Aviv avevano iniziato a circolare su Telegram e un canale chiamato Utro Daghestana aveva fornito i dettagli sugli orari e soprattutto aveva invitato i cittadini a riunirsi all’aeroporto. Il canale aveva anche fornito una serie di istruzioni, un vademecum in diciannove punti per manifestanti antisemiti che una volta presi tutti i passeggeri avrebbero dovuto costringerli a condannare pubblicamente lo stato ebraico. L’invito ai manifestanti pieni di intenzioni violente era anche quello di  radunarsi  davanti all’albergo che avrebbe dovuto ospitare alcuni dei passeggeri. I video riprendono gente rabbiosa aggirarsi per le strutture, sfondare porte e urlare. Per raccontare cosa è accaduto in Daghestan, bisogna farsi largo tra una serie di notizie false, di scuse istituzionali, tra una violenza che rompe  l’immagine di una nazione come la Russia, che il suo presidente, Vladimir Putin, ha sempre presentato come un esempio di convivenza tra religioni e popoli.  La prima notizia falsa riguarda i passeggeri: sull’aereo non erano presenti cittadini israeliani, si trattava di famiglie del posto che viaggiavano per lo più con bambini che tornavano da un ciclo di cure mediche in Israele. La loro salvezza si deve unicamente alla rapidità del personale di bordo. 


 Appena iniziato lo sbarco, il personale ha intimato ai passeggeri di tornare nell’aereo. Si sono ritrovati i loro cacciatori urlanti sulla pista di atterraggio pronti a  cercarli ovunque, anche nei motori. Sono state arrestate 60 persone, sono intervenute la polizia e le Forze speciali, che già nei giorni scorsi si erano occupate di sedare le proteste contro Israele. Nel fine settimana, prima che una delle repubbliche russe si tramutasse nel teatro di un pogrom, Israele aveva convocato l’ambasciatore russo per chiedere spiegazioni riguardo alla decisione di Mosca di accogliere una delegazione di Hamas. Il Cremlino infatti si è sempre posto in modo ambiguo nei confronti dei terroristi palestinesi, aveva approfittato della guerra tra Israele e Gaza per gettare ogni responsabilità sugli Stati Uniti e Vladimir Putin, che ieri ha annunciato la fine della pax americana, aveva tardato molto prima di telefonare a Benjamin Netanyahu per dimostrargli la sua vicinanza dopo le violenze del 7 ottobre. Il presidente russo che ha spesso fatto della lotta al terrorismo il motivo scatenante di guerre e interventi internazionali, contro Hamas si è sempre dimostrato morbido, e non dal 7 ottobre. Dopo il pogrom in Daghestan, invece, il Cremlino ha riunito il gabinetto di emergenza, ha condannato, ma non ha resistito alla tentazione di dire che era tutto organizzato da potenze straniere, indicando verso Kyiv che, secondo Putin, istiga i pogrom in Russia. A maggio, Ilya Ponomarev, l’ex deputato russo che vive tra la Polonia e l’Ucraina e che si è spesso vantato di conoscere l’organizzazione che compie sabotaggi e omicidi mirati in Russia, aveva detto di aver investito nel canale telegram Utro Dagestana. Ponomarev dà spesso l’impressione di cercare di dimostrarsi più potente di quel che è: è un oppositore di Putin, ma dove arrivi la sua rete di contatti e di inventiva non si sa. La paternità del canale daghestano ha messo le autorità russe nella comoda posizione di poter scaricare ogni responsabilità e anzi di poter incolpare Kyiv. Utro Dagestana ha smentito di avere a che fare con Ponomarev, ma per Mosca l’accusa resta. Quel che è rilevante sta  però nella storia del Daghestan, da cui oggi viene la maggior parte dei soldati che combattono in Ucraina, e che da secoli ospita le comunità ebraiche degli “ebrei di montagna”. Da quando Putin è arrivato al Cremlino, le repubbliche a maggioranza musulmana hanno iniziato a radicalizzarsi, a essere governate al di fuori della legge, tutto in cambio della fedeltà al presidente, come dimostra il caso più noto della Cecenia governata da Ramzan Kadyrov. La mancata condanna da parte di Putin contro Hamas è suonata in Daghestan come un encomio, un via libera, un benestare al pogrom all’aeroporto di Makhachkala. 

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  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.