Convergenze rossobrune sulla Via della seta

Giulia Pompili

 Alemanno e Rizzo sono d'accordo sul sostenere la nostra partecipazione nel grande progetto strategico d'influenza cinese contro il governo Meloni

Ne parliamo noi perché non ne parla nessuno! E' iniziato così, con il grande classico dei complotti, quello del non-ve-lo-dicono, il dibattito sulla possibile uscita dalla Via della Seta cinese annunciata dal governo Meloni che si è tenuto ieri a Trento, organizzato dal pensatoio trentino Nodo di Gordio. E però è finita che a parlare davvero di Via della Seta sia stato solo l’interessato per eccellenza, professore ma potremmo dire anche di professione ex sottosegretario Michele Geraci – l’uomo che convinse Di Maio a mettere la firma sullo sciagurato accordo da cui ora nessuno sa come uscire. Insieme a lui, oltre all’assessore della provincia di Trento, il leghista Mirko Bisesti, i due ospiti d’eccellenza erano Gianni Alemanno, il trotskista di destra (copyright di Simone Canettieri) e Marco Rizzo, il trotskista propriamente detto.

 

 

Ma più che un dibattito è stato tutto un darsi ragione: Alemanno dice che uscire è un errore come continuare a stare dalla parte della difesa dell’Ucraina, perché ormai  “siamo i pasdaran di un mondo che sta morendo!” (intendendo la Nato e l’occidente), e Rizzo risponde che “oggi schierarsi con l’atlantismo ci porta dei problemi economici enormi: noi prima il gas lo pagavamo molto poco!” (grazie al magnanimo Putin). Poi l'immigrazione: Rizzo dice che “ci sono decine di milioni di giovani africani disponibili a venire nel nostro continente. Se questo avviene è la fine di tutto, lo capite?”, e Alemanno gli dà così tanto  ragione che a un certo punto gli scappa l’evocazione di Giano Accame, sulla convergenza tra destra sociale e sinistra nazionale. Nel mezzo, compaiono le slide del professore, che cerca di far tornare il dibattito sulla Via della Seta: sapete, la Cina ha bisogno di noi in Africa, perché “non è sempre benvoluta, perché ha problemi magari sui lavoratori, sui diritti...”, come a dire: eccoci, possiamo aiutare a sfruttarli meglio. Ma in definitiva, cosa rischiamo se usciamo da questo MoU? Di distruggere “duemila anni di storia”, dice Geraci. L’Apocalisse. Partono gli applausi. 

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.