Il modello Singapore è a rischio, ma i cittadini votano per conservarlo

Massimo Morello

Tharman Shanmugaratnam, molto vicino al People’s Action Party, quello al potere dall’indipendenza di Singapore nel 1965, ha vinto le elezioni presidenziali nonostante l'autoritarismo confuciano e tutti gli scandali di quest'anno

"Gli abitanti di Singapore sono definitivamente 'kiasu': 'Temono la perdita'" aveva detto lo scrittore Yeng Pway Ngon in un’intervista al Foglio di qualche anno fa. Quel timore è all’origine della vittoria Tharman Shanmugaratnam alle elezioni presidenziali di venerdì 1° settembre. I singaporeani hanno avuto paura di perdere quella felicità cui si sono assuefatti grazie al governo in carica. "Non è solo un voto per me", ha dichiarato Tharman. "E’ un voto per il futuro di Singapore, un futuro di ottimismo".

La carica di presidente ha un carattere simbolico, cerimoniale (con alcuni aspetti di controllo finanziario non trascurabili), ma quest’anno il presidente incarna anche una visione politica.

Tharman, 66 anni, di etnia Tamil, ha cominciato la sua carriera nella banca centrale di Singapore ed è staro il primo asiatico nel consiglio del Fondo Monetario internazionale. Come vuole la legge ha rinunciato ai suoi incarichi politici e di partito, ma è stato vice primo ministro e ministro delle Finanze dell’attuale governo. È per questa sua “appartenenza” che ha vinto col 70 per cento delle preferenze. L’elezione, infatti, era importante soprattutto come referendum sul gradimento del People’s Action Party (Pap), al potere dall’indipendenza di Singapore, nel 1965. Fondato dal Lee Kuan Yew, il demiurgo della città stato, e oggi guidato da suo figlio Lee Hsien Loong, esprime una vera e propria filosofia politica. Per alcuni è un’utopia, per altri una distopia. Secondo il World Happiness Report (indagine sul livello di felicità in 150 paesi del mondo) Singapore si classifica al 25° posto (al primo in Asia. Italia al 33) basandosi su una media di “valutazioni di vita” quali il Pil pro capite, l’aspettativa di vita, la percezione della corruzione. Una felicità, pagata con una serie di limitazioni nelle libertà individuali e di rigore nelle leggi. Per Freedom House il contesto politico è “parzialmente libero”, mentre tutte le associazioni di difesa dei diritti umani ripetono la condanna per l’applicazione della pena di morte. Dall’inizio del 2023 sono state impiccate 16 persone per traffico di stupefacenti.

Quest’anno, sembrava che il modello Singapore fosse messo a rischio proprio nei suoi fondamenti. Il primo scandalo è scoppiato a luglio, quando il ministro dei trasporti Iswaran è stato arrestato con l’accusa di corruzione per aver accettato “regali” da miliardario Beng Seng, noto per aver portato a Singapore il Gran Premio di Formula 1. Subito dopo uno scandalo ha coinvolto altri due parlamentari membri del Pap, colpevoli di una “relazione inappropriata” in quanto uno dei due, lo speaker del parlamento Tan Chuan-Jin, era sposato. Per par condicio bisogna precisare che della stessa colpa si sono macchiati anche due membri del Workers’ Party, l’unico partito d’opposizione in parlamento. In entrambi i casi tutti i colpevoli si sono dimessi.

In precedenza, altri due ministri anziani del Pap, Shanmugam Kasiviswanathan e l’ex ministro degli esteri Vivian Balakrishnan erano stati accusati di aver indebitamente affittato due proprietà d’epoca coloniale. Accusa poi rivelata infondata ma che ha ulteriormente incrinato quello che viene definito il “Contratto Sociale di Singapore”. Un contratto di stampo confuciano secondo cui la legittimazione popolare, con conseguente accettazione di leggi e norme che limitano le libertà individuali, deriva non solo dai risultati ottenuti dal governo ma anche dalla sua autorità morale. Autorità messa in crisi dalla stessa famiglia Lee. Il disaccordo tra il primo ministro, suo fratello minore Lee Hsien Yang e sua sorella Lee Wei Ling, apparentemente per futili motivi, è divenuto il simbolo di una diversa visione della politica. Secondo i suoi fratelli il premier è sempre più focalizzato sugli interessi di partito, anziché nel rispetto dell’eredità morale del patriarca.

Ben più grave si è rivelata l’incapacità di controllare la criminalità finanziaria. Quella che ha trovato in Singapore uno dei suoi laboratori di coltura. Il fenomeno si è manifestato in forma macroscopica con la scoperta di una gigantesca lavanderia di denaro sporco, in cui sono stati sequestrati beni per circa ottocento milioni di dollari. Secondo molti osservatori locali l’operazione sarebbe stata pilotata dalle autorità cinesi che volevano stroncare l’espansione delle triadi e delle altre organizzazioni mafiose che hanno la loro base nel Fujian.

La vicenda ha messo in evidenza un’altra criticità: la creazione di una classe di ultraricchi che conducono una vita all’insegna del lusso più sfrenato. A leggere l’elenco dei beni sequestrati, tra hypercar e megayacht, o di feste da nababbi con cantanti fatte venire da Taiwan sembra la versione criminale del mondo descritto dal singaporeano Kevin Kwan, nato e cresciuto a Singapore nel romanzo (poi film) “Crazy Rich Asian”.

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