La Corea del nord fallisce il lancio del satellite, e la Corea del sud il suo sistema d'allarme

"Presto! Correte ai rifugi!". Anzi no

Giulia Pompili

Questa mattina il regime di Pyongyang ha tentato di mandare in orbita il suo satellite spia. A Seul quaranta minuti di panico

Usare gli smartphone per gli avvisi di sicurezza pubblica può essere uno strumento utile nelle mani delle autorità. Un terremoto, un incidente, un attacco terroristico. Funziona bene, fino a quando gli avvisi non diventano troppi, le persone non li leggono nemmeno più, oppure, peggio: sono la conseguenza di un errore.

Questa mattina, alle 6 e 41, gli abitanti di Seul, la capitale della Corea del sud, sono stati svegliati da un avviso del governo della città metropolitana che chiedeva ai residenti di “prepararsi all’evacuazione”, senza dare ulteriori spiegazioni. Circa venti minuti dopo, arriva un’altra notifica push, questa volta da parte del ministero dell’Interno: scusate, ci siamo sbagliati. Passano altri venti minuti, e il governo locale di Seul dichiara – sempre con un avviso su smartphone: no, niente paura, tornate alla vostra vita di tutti i giorni.

Ieri iniziava la finestra dichiarata dalla Corea del nord per il lancio del suo satellite spia. Per mettere un satellite in orbita c’è bisogno del lancio di un razzo vettore – una tecnologia pressoché identica a quella di un missile balistico intercontinentale. Ieri il regime di Pyongyang ci ha provato: alle 6 e 27 del mattino in Asia orientale, dal sito di lancio vicino Tongchang-ri, nel nord-ovest del paese, è stato lanciato il satellite Chollima-1 che si è schiantato in mare dopo aver volato solo duecento chilometri. Nei paesi limitrofi, sono state attivate le procedure d’emergenza: la Difesa della Corea del sud ha intercettato il missile due minuti dopo il suo lancio, e Seul, Tokyo e Washington hanno avuto conversazioni telefoniche per coordinare le misure e una risposta di condanna. Sebbene il fallimento dell’operazione per mettere in orbita il satellite è stata resa nota poche ore dopo anche dall’agenzia di stampa statale nordcoreana, la Kcna, il lancio viola le sanzioni contro la Corea del nord imposte dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Secondo gli analisti, entro la fine della finestra di lancio, l’11 giugno, Pyongyang ci proverà ancora, ma per ora, sui media locali, e soprattutto su quelli nordcoreani, si analizza il fallimento del sistema per mettere in sicurezza la popolazione.

Più che sicurezza, si è scatenato il panico. Un missile balistico che punta all’orbita, in realtà, non pone un serio rischio per la popolazione: la traiettoria è balistica, quindi punta molto, molto in alto, ma c’è sempre la possibilità di un errore, di detriti, oppure di un errore di valutazione da parte di chi osserva da vicino le mosse di Pyongyang. Da qualche tempo i governi di Corea del sud, Giappone e America (per quanto riguarda le Hawaii e Guam) usano le notifiche push sul cellulare anche strategicamente, per sensibilizzare la popolazione a un eventuale attacco. Il Giappone, per esempio, usa da tempo questo sistema per i terremoti e gli tsunami. Ma per i sudcoreani, l’avviso di stamattina è stato confuso e incomprensibile – molto diverso da quello inviato invece dal governo giapponese ai residenti dell’arcipelago di Okinawa, ai quali è stata inviata una notifica con tutte le informazioni corrette (la Corea del nord ha lanciato un missile, cercate riparo) dieci minuti prima di quella del governo di Seul.

Le notifiche push sugli smartphone funzionano se sono tempestive, veloci, se sono limitate agli individui direttamente interessati. Eppure il sistema, soprattutto in Corea del sud, fa ancora fatica a essere efficace. Nell’autunno scorso c’erano state molte polemiche per l’uso piuttosto disinvolto che il governo sudcoreano faceva degli avvisi direttamente sullo schermo dei telefoni dei suoi residenti riguardo qualunque cosa succedesse sul territorio nazionale: a Seul si avvertiva di un incidente ferroviario che aveva causato disagi a Busan, a Incheon si fornivano i dati dei contagi da coronavirus a Daegu. Quando stamattina è arrivata la notifica sulla necessità urgente di trovare rifugio, secondo i giornali locali molte persone non sapevano nemmeno dove fosse, il rifugio antimissilistico più vicino a loro.

Ed è successo anche al Giappone, qualche mese fa, di fornire un allarme che poi si era rivelato falso. Nel novembre scorso l’avviso di emergenza di Tokyo, il J-Alert, aveva allertato la popolazione su un missile lanciato dalla Corea del nord che aveva sorvolato l'arcipelago giapponese: in realtà quel missile era scomparso dai radar ben prima, sopra il Mar del Giappone. Nel 2018 arrivò una notifica per un forte terremoto “al largo della costa di Ibaraki. Prepararsi a forti scosse". Il terremoto non c’era mai stato.

Al di là dei nuovi metodi tecnologici, essendo ancora tecnicamente in guerra con il Nord - con cui c'è stato solo, nel 1953, un armistizio, e non un trattato di pace - il Sud ha numerosi sistemi anti-attacco tradizionali, che coinvolgono soprattutto le sirene e gli allarmi in strada

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.