le linee di chisinau

Cosa cerca la Russia in Moldavia

Micol Flammini

Le facce della piazza di Chisinau, tra pagati, aizzati e sabotatori. All’origine c’è sempre Mosca 

Per Mosca l’idea di un’aggressione contro la  Moldavia non parte da un presupposto militare, ma dall’idea che in un  paese con meno di tre milioni di abitanti e con un prodotto interno lordo all’incirca pari a quello della Basilicata, la politica sia facilmente destabilizzabile. Domenica la polizia moldava ha detto di aver arrestato una rete di sabotatori mandati da Mosca,  addestrati per provocare disordini di massa durante le proteste contro il governo. Ogni settimana a Chisinau, la capitale del paese,  gruppi di manifestanti sfilano, con intenzioni più o meno violente, sotto i palazzi delle istituzioni moldave e da tempo le autorità hanno cercato di dimostrare come non soltanto Mosca sia al corrente di questi movimenti, ma cerchi anche di alimentarli e finanziarli attraverso un piano strutturato. 

 

Nel fine settimana sono state arrestate sette persone e la rete scoperta dalla polizia moldava conta anche cittadini russi, ex detenuti o sportivi con il compito di rompere i cordoni della polizia durante le manifestazioni e scatenare episodi di violenza. Gli organizzatori delle proteste vengono dal gruppo Movimento per il popolo, sostenuto dal partito del politico sanzionato e vicino al Cremlino,  Ilan Shor, che detiene sei seggi dei centouno del Parlamento moldavo. Un agente della polizia di Chisinau è riuscito a infiltrarsi nel gruppo, ha documentato le proteste dal loro interno e rivelato lo schema della loro organizzazione, di cui Mosca è molto informata, anche perché queste manifestazioni partono da una base di insoddisfazione popolare, che fa capo proprio alle politiche energetiche decise dal Cremlino contro lo stato moldavo. C’è una base su cui la guerra politica russa si è innestata ed è quella delle preoccupazioni popolari, dalla crisi economica, dell’aumento dei prezzi dell’energia che è una diretta conseguenza della decisione russa di ridurre le forniture di gas alla Moldavia nell’ultimo anno, causando un aumento delle bollette, fino a sei volte, e contribuendo a far aumentare l’inflazione del trenta per cento. Domenica i manifestanti si erano presentati in piazza con un ultimatum: volevano che il governo risolvesse la questione dei rimborsi per le bollette entro ieri, non è successo e le manifestazioni sono andate avanti e hanno bloccato le strade di Chisinau. 

 

L’inchiesta della polizia non è riuscita a chiarire se la rete che fa capo a Mosca paghi effettivamente alcuni manifestanti per unirsi alle proteste, si parla di compensi di circa trentacinque euro al giorno, che per una popolazione in difficoltà economiche non è poco. Gli obiettivi della propaganda sono il governo, con il nuovo premier Dorin Recean che si è insediato a metà febbraio, e soprattutto la presidente Maia Sandu, bersaglio principale di una propaganda che rimprovera alla Moldavia il suo orientamento europeista, tanto che uno degli uomini fermati dalla polizia aveva come nome di battaglia “Mayan Sandu”. La presidente e il governo finora hanno risposto sensibilizzando gli alleati europei e americani, fornendo delle soluzioni alle rivendicazioni economiche, cercando di contrapporre l’ordine della loro risposta al disordine della protesta, che arriva  amplificato in un paese in cui, dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, sono stati lanciati  centinaia di allarmi bomba, sono caduti   pezzi di missile  e c’è la  consapevolezza   che i razzi di Mosca possono sorvolare i suoi cieli.  In Moldavia,  la Russia ha aperto il fronte della destabilizzazione con l’intenzione di far sentire i moldavi  meno sicuri. Dionis Cenusa, esperto in analisi del rischio, ha detto al Foglio che Mosca ha due modi per aprire un conflitto a Chisinau: lanciare i  missili o usare le forze russe che sono presenti da trent’anni in Transnistria, ma tutte e due le decisioni infliggerebbero  “alla Russia costi ingenti materiali e anche la perdita del sostegno di cui ancora gode in Moldavia”. In caso di attacco dalla Transnistria, la striscia di territorio separatista che confina con Kyiv, “seguirebbe la reazione dell’Ucraina che ha il diritto di  impedire incursioni militari ai suoi confini. La sopravvivenza del regime separatista della Transnistria, che ancora gioca la carta della Russia,  è probabilmente destinata a deteriorarsi”. 

 

Nel frattempo a Chisinau  c’è sempre meno spazio per le sfumature, e la volontà di affrancarsi anche culturalmente da Mosca è diventata uno degli obiettivi della presidente e del governo. La decisione di approvare in Parlamento la legge che sdogana l’uso dell’espressione “lingua romena” al posto di “moldava”, guarda a Mosca. E’ stato il partito della presidente a proporre la legge. La decisione  non piace a chi invece vuole avvicinarsi a Mosca: “Il tema della lingua è stato difficile sin dall’indipendenza dall’Urss. Per i sostenitori del nome ‘moldavo’, questo è associato al concetto di sovranità ed è una vecchia costruzione artificiale dei propagandisti sovietici, che usarono la ‘lingua moldava’ come parte del processo di costruzione di un’identità separata rispetto a quella romena”, ha detto Cenusa. Anche per la lingua c’è chi scende in piazza. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.