Spazio, politica e Difesa

L'Europa non manderà più i suoi astronauti sulla stazione spaziale cinese

Giulia Pompili

Dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, l’Esa ha messo in stand by tutte le collaborazioni con l’agenzia spaziale del Cremlino. Ma adesso anche la Cina è più lontana

Al briefing annuale con la stampa, la scorsa settimana, il direttore generale dell’Agenzia spaziale europea, Josef Aschbacher, ha confermato una notizia che circolava già da tempo: nessun astronauta europeo andrà sulla stazione spaziale orbitante cinese chiamata Tiangong, il “Palazzo celeste”. Secondo Aschbacher per il momento non ci sarebbero né “il budget né il via libera politico per collaborare a una seconda stazione spaziale”. L’aspetto politico, più di quello commerciale, è interessante, e sembra quasi prioritario. Anche perché l’investimento economico per collaborare con la stazione spaziale cinese e mandare astronauti sulla Tiangong era stato messo a disposizione già da tempo: nel 2017 per la prima volta nella storia due astronauti europei,  Samantha Cristoforetti e Matthias Maurer, erano stati inviati in Cina ad addestrarsi, avevano perfino imparato il mandarino. C’era quindi la volontà di proseguire una collaborazione in modo sempre più intensivo. 


Poi qualcosa è cambiato. Dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, l’Esa ha messo in stand by tutte le collaborazioni con l’agenzia spaziale del Cremlino, la potente Roscosmos – soprattutto quelle legate alla missione ExoMars – tranne l’ordinaria amministrazione dovuta al funzionamento della Stazione spaziale internazionale, a cui partecipa Roscosmos insieme con l’agenzia americana Nasa, l’agenzia spaziale canadese, quella giapponese e quella europea. La guerra in Ucraina ha stravolto le priorità e messo in discussione un principio fondamentale nella cooperazione spaziale: la fiducia. Nel giro di pochissimo tempo, la tecnologia dello spazio è tornata a essere soprattutto una tecnologia di Difesa, e chi ha interessi nello spazio ora preferisce difenderli. Starlink della SpaceX di Elon Musk ha mostrato al grande pubblico l’importanza strategica dei satelliti anche per un conflitto terrestre, che è fatto con le armi del secolo scorso, i carri armati e i lanciarazzi, ma anche con sofisticatissime tecnologie. E la stazione orbitante è attualmente l’unico luogo in cui americani e russi sono ancora costretti a cooperare (ad abitarla in questo periodo ci sono tre astronauti e tre cosmonauti russi, e il giapponese Koichi Wakata). 


La vicinanza strategica e ideologica della Cina alla Russia e i metodi sempre più assertivi e coercitivi di Pechino hanno accelerato anche l’allontanamento da molti progetti di cooperazione dell’Esa con la Repubblica popolare. Il direttore generale dell’Esa Aschbacher non è stato chiaro, la scorsa settimana, sui dettagli dell’allontanamento dai progetti condivisi con la Cina, ma in un messaggio a un gruppo di appassionati di spazio sul social cinese Weibo anche l’astronauta Cristoforetti ha esplicitato una situazione politica piuttosto complicata: “Ci abbiamo provato... ma sapete, le cose non sono più facili come una volta”, ha detto. 


E’ parte di un più ampio consenso sul “derisking”, di cui si parla in questi giorni nelle riunioni internazionali: l’èra della fiducia è finita, bisogna mettersi in sicurezza dai paesi autoritari e rapaci. Pechino sta puntando moltissimo sul suo programma spaziale che si sovrappone a quello della sua Difesa. Come ha scritto Alessandro Gili per Ispi:  “Nei programmi di Pechino c’è anche la guida di una coalizione di paesi interessati ad accedere allo spazio e che difficilmente potrebbero farlo autonomamente”. C’è un’attenzione particolare ai paesi africani e a quelli del Golfo: “Ne è riprova il China-Africa Beidou System Cooperation Forum svoltosi a Pechino nel novembre 2021 che ha riunito circa 50 rappresentanti di governi africani e i vertici della politica spaziale cinese. Il forum si inserisce nel più ampio Spatial Information Corridor della Via della Seta, cioè quell’insieme di progetti che comprendono in particolare comunicazioni satellitari globali e di posizionamento, in primis attraverso Beidou”, cioè il sistema di localizzazione satellitare cinese concorrente al Gps americano (e al Galileo europeo). Un anno fa, all’alba dell’invasione russa dell’Ucraina, il presidente russo Vladimir Putin e il leader cinese Xi Jinping hanno firmato un accordo per integrare il sistema cinese con quello russo, Glonass, e rendere i due paesi resilienti in caso di distacco dalle informazioni che arrivano dai satelliti occidentali. 


Martedì scorso il generale Bradley Chance Saltzman, comandante della Space force americana, parlando con i giornalisti al Pentagono ha detto che uno dei prossimi conflitti potrebbe svolgersi proprio in orbita, data la capacità acquisita di Russia e Cina di mettere fuori uso i sistemi satellitari – la Russia, per esempio, con un sistema di missili antisatelliti, e Pechino con un braccio robotico manovrabile di cui si sa ancora molto poco: “I satelliti nello spazio non sono utili se i collegamenti ad essi e alla rete terrestre che trasmette le informazioni e comunica con i satelliti non sono garantiti”, ha detto Saltzman. “Abbiamo assistito ad alcune attività informatiche che hanno danneggiato le operazioni satellitari”, e poi: “Questo significa che dobbiamo essere resistenti, pronti e credibili in combattimento”. Significa aumentare la deterrenza anche nello spazio. 
 

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.