Foto Ap, via LaPresse

Netanyahu va alla “guerra suprema”. E spacca in due Israele

Il nuovo governo ha annunciato una riforma che consentirebbe di fatto al Parlamento di annullare una decisione della Corte suprema. La corte ha risposto, pronunciandosi contro la nomina a ministro di Aryeh Deri a causa delle sue condanne per corruzione ed evasione fiscale. Nel paese c'è chi denuncia il “golpe di Bibi” e chi il “golpe delle élite”

Tenevano cartelli che ritraevano il ministro della Giustizia israeliano, Yariv Levin, come un nazista e chiamavano il governo Netanyahu “il Sesto Reich”. Michal Shir, del partito Yesh Atid di Yair Lapid, ha chiesto che “le strade vengano incendiate”. L’ex vice capo di stato maggiore Yair Golan ha chiesto un’insurrezione civile. L’ex capo di stato maggiore e ministro della Difesa, Moshe Yaalon, ha chiesto ai poliziotti di disobbedire agli ordini. Il clima in Israele non è mai stato tanto teso.

 

Al centro, la riforma voluta dal nuovo governo di Benjamin Netanyahu: un voto del Parlamento per ribaltare una sentenza della Corte Suprema. E la Corte ha risposto, pronunciandosi contro la nomina a ministro di Aryeh Deri a causa delle sue condanne per corruzione ed evasione fiscale. La Corte ha definito “irragionevole” e quindi da bocciare la nomina a ministro dell’Interno  del leader del partito ortodosso Shas, fido alleato di Bibi. Un pronunciamento che rischia di far traballare l’esecutivo. Ma forse anche di accelerare l’intenzione della maggioranza di limitare il peso della Corte e spostare l’equilibrio dei poteri a favore del ramo legislativo. All’attacco della sentenza i due controversi leader del sionismo religioso - entrambi ministri - Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich. “Un’assise che non viene eletta”, ha detto Ben Gvir, “non è interessata a compromessi e anela a un potere illimitato su quanti sono stati eletti”. “Non è possibile in uno stato democratico che dieci giudici decidano al posto della maggioranza chi possa fare il ministro” ha denunciato Smotrich. Mai il paese è stato così spaccato in due, fra chi denuncia il “golpe di Bibi” e chi il “golpe delle élite”.

 

Caroline Glick, seguitissima columnist israeliana, scrive che la Corte non protegge i diritti delle minoranze di per sé. “Solo delle minoranze associate alla sinistra. Da quando Aharon Barak (ex capo della Corte) ha messo in atto la sua rivoluzione giudiziaria  la Corte ha protetto i terroristi palestinesi. Invece le minoranze del blocco di destra - classe operaia,  israeliani di Giudea e Samaria, ortodossi - non ricevono  sostegno dalla Corte. Oggi è la prima volta che i Barak (Ehud e Aharon)  affrontano la  prospettiva che la  democrazia sia ripristinata nel paese”. Dall’altro lato  chi, come Yossi Klein Halevy, intellettuale centrista di Gerusalemme, sull’Atlantic scrive che “la democrazia israeliana è messa in pericolo da Netyanyahu”. Intanto su Deri, cui ora Bibi dovrà trovare qualcosa da fare, arrivava la sentenza della Corte, compreso il voto del  primo giudice islamico, Khaled Kabub. Sarà “apartheid”, ma ancora è abbastanza democratica.

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